La National Security Strategy pubblicata dall’amministrazione Trump ha suscitato reazioni estremamente angosciate in Europa.

La preoccupazione riguarda soprattutto i paragrafi del documento in cui si legge che: «i giorni in cui gli Stati Uniti sostenevano l’intero ordine mondiale come Atlante sono finiti. Tra i nostri numerosi alleati e partner annoveriamo decine di nazioni ricche e sofisticate che devono assumersi la responsabilità primaria delle proprie regioni e contribuire molto di più alla nostra difesa collettiva».
Il recente impegno strappato ai Paesi membri della Nato – ad eccezione della Spagna – a destinare al bilancio della Difesa il 5% del Pil viene portato nella National Security Strategy come fulcro di una «rete di condivisione degli oneri, con il nostro governo come coordinatore e sostenitore». Una sorta di “decentramento amministrativo” che vincola gli alleati ad «assumersi la responsabilità primaria delle proprie regioni».
Gli Stati Uniti dovrebbero, si legge ancora nella National Security Strategy, aiutare l’Europa a correggere la sua attuale traiettoria, così da «ripristinare la stabilità strategica con la Russia» e porre il “vecchio continente” nelle condizioni di «stare in piedi da solo e operare come gruppo di nazioni sovrane allineate, compresa l’assunzione delle responsabilità connesse alla propria difesa».
Dalla National Security Strategy emerge che l’amministrazione Trump si ripromette inoltre di intensificare gli sforzi per «aprire i mercati europei alle merci e ai servizi statunitensi e assicurare un equo trattamento dei nostri lavoratori e imprese», nonché di «porre fine alla percezione, e prevenire la realizzazione, della Nato come di un’alleanza in perpetua espansione».
Non solo Europa: la National Defense Strategy guarda all’emisfero occidentale
Come risultato della guerra russo-ucraina, recita la National Security Strategy,«le relazioni tra Europa e Russia sono ora profondamente deteriorate, e molti europei considerano la Russia un rischio esistenziale. Riequilibrare le relazioni europee con la Russia richiederà un investimento diplomatico statunitense significativo, sia per ristabilire una condizione di stabilità strategica sulla massa territoriale eurasiatica che per mitigare il rischio di conflitto tra la Russia e gli Stati europei».
È interesse centrale degli Stati Uniti, evidenzia la National Security Strategy, «quello di negoziare una rapida conclusione delle ostilità in Ucraina, così da stabilizzare le economie europee, prevenire involontarie escalation o allargamenti del conflitto e […] assicurare la ricostruzione dell’Ucraina a guerra finita garantendone la sopravvivenza come Stato autosufficiente […]. L’amministrazione Trump è in disaccordo con i governanti europei che nutrono aspettative irrealistiche sulla guerra».
Il disimpegno relativo dall’Europa, così come dal Medio Oriente, previsto dalla National Security Strategy risulta contestuale a una visione geopolitica che antepone la tutela degli interessi statunitensi nell’emisfero occidentale rispetto a qualsiasi altro obiettivo strategico, compresa la gestione della sfida cinese.
In particolare, si legge nella National Security Strategy, l’amministrazione Trump intende riaffermare e applicare, «dopo anni di negligenza, la Dottrina Monroe per ripristinare la preminenza statunitense nell’emisfero occidentale e proteggere la patria e il nostro accesso ad aree geografiche chiave in tutta la regione. Negheremo ai concorrenti non emisferici la possibilità di posizionare forze o altre capacità offensive, o di possedere o controllare risorse strategicamente vitali, nel nostro emisfero. Questo “Corollario Trump” alla Dottrina Monroe rappresenta un ripristino efficace e ben congegnato del potere e delle priorità statunitensi, coerente con gli interessi di sicurezza nazionale».
Intanto, i negoziati per porre fine alla guerra russo-ucraina restano al palo. Lo ha affermato il presidente Zelensky, secondo cui il controllo territoriale del Donbass rappresenta l’ostacolo principale, mentre Kiev insiste sul fatto che qualsiasi accordo debba includere garanzie di sicurezza credibili per impedire un’altra invasione.
Le dichiarazioni di Zelensky sono state formulate durante una visita diplomatica a Londra organizzata per incontrare il primo ministro Starmer, il presidente Macron e il cancelliere Merz, a poche ore di distanza dalla dura presa di posizione del presidente Trump, il quale si era detto «deluso dal fatto che il presidente Zelensky non abbia ancora letto la proposta» statunitense.
Il risentimento statunitense nei confronti del presidente ucraino trapela palesemente anche da un reportage realizzato dal «New York Times» da cui emerge il sabotaggio sistematico dei meccanismi anti-corruzione ad opera di Kiev.
Secondo il quotidiano, «negli ultimi quattro anni, la presidenza retta da Volodymyr Zelensky ha ostacolato i consigli di sorveglianza indipendenti richiesti dagli alleati occidentali per monitorare le spese nelle aziende statali. Questi consigli, composti da esperti esterni, dovevano prevenire la corruzione, nominare dirigenti e controllare decisioni chiave».
Al contrario, scrive il «New York Times», «il governo ha inserito fedelissimi nei consigli di amministrazione, lasciato posti vacanti o ritardato la loro creazione. Ha anche modificato gli statuti aziendali per limitare il loro potere, mantenendo il controllo governativo. Questo ha permesso alla corruzione di proliferare, con centinaia di milioni di dollari spesi senza controlli esterni».
La Commissione Europea, dal canto suo, ha invece presentato un nuovo piano implicante l’erogazione di un prestito da 165 all’Ucraina garantito dai beni russi attualmente sottoposti a congelamento. Nonché di una suddivisione degli oneri tra i Paesi membri dell’Unione Europea, come richiesto dal primo ministro belga Bart De Wever. Tuttavia, scrive «Politico», «le quote spettanti a ciascun Paese potrebbero aumentare se li Stati favorevoli al Cremlino, come l’Ungheria, dovessero rifiutarsi di aderire all’iniziativa».
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