
Questa opzione sembrava scontare il consenso maggioritario dell’Unione Europea, specialmente alla luce del precedente pronunciamento del Consiglio d’Europa che aveva aperto il varco alla soluzione preferita dai “falchi”.
Il congelamento sine die dei beni russi
Lo scorso 12 dicembre, i rappresentanti di tutti i Paesi membri dell’Unione Europea ad eccezione di quelli ungheresi e slovacchi avevano infatti votato a favore del congelamento a tempo indeterminato di circa 210 miliardi di dollari di beni russi riconducibili alla Bank of Russia, di cui 185 depositati presso Euroclear.
Il provvedimento di immobilizzazione dei beni russi è attivo dal marzo 2022, ma fino al 12 dicembre scorso è stato rinnovato ogni sei mesi con l’approvazione unanime del Consiglio d’Europa.
La nuova misura ha di fatto accantonato i requisiti di unanimità e rinnovabilità a cadenza semestrale previsti dai trattati europei per rendere la proposta di congelamento dei beni russi approvabile a maggioranza qualificata (15 Paesi su 27 a condizione che rappresentino il 65% della popolazione dell’Unione Europea) e applicabile a tempo indeterminato, in forza della clausola dell’articolo 122 del Trattato di Funzionamento dell’Unione Europea che ne vincola l’invocazione alla sussistenza di «circostanze eccezionali».
L’articolo stabilisce esplicitamente che, «fatte salve eventuali altre procedure previste dai trattati, il Consiglio, su proposta della Commissione, può decidere, in uno spirito di solidarietà tra Stati membri, le misure adeguate alla situazione economica, in particolare qualora sorgano gravi difficoltà nell’approvvigionamento di determinati prodotti, in particolare nel settore dell’energia».
Qualora uno Stato membro «si trovi in difficoltà o sia seriamente minacciato da gravi difficoltà a causa di calamità naturali o di circostanze eccezionali che sfuggono al suo controllo, il Consiglio, su proposta della Commissione, può concedere, a determinate condizioni, un’assistenza finanziaria dell’Unione allo Stato membro interessato. Il presidente del Consiglio informa il Parlamento Europeo della decisione adottata».
Nella fattispecie, si trattava di evitare che Paesi sempre più recalcitranti ad allinearsi alla politica del sostegno incondizionato all’Ucraina come Ungheria e Slovacchia ponessero il veto sul rinnovo del regime sanzionatorio mesi dopo che i beni russi fossero stati riciclati come garanzia per l’apertura di una linea di credito a favore dell’Ucraina, come previsto dal piano d’azione predisposto dalla Commissione Europea.
Nel qual caso, il Belgio in primis, sede di Euroclear, si sarebbe ritrovato nell’impossibilità di restituire alla Russia i beni di sua spettanza in conformità al decadimento delle sanzioni.
Alla luce di siffatte “circostanze eccezionali” ravvisate dagli ideatori dell’iniziativa, l’Unione Europea ha aperto il varco al congelamento a tempo indeterminato degli asset russi nonostante l’opposizione di Ungheria e Slovacchia e senza consultare il Parlamento Europeo.
Il recente pronunciamento del Consiglio d’Europa ha tuttavia impedito la piena realizzazione del piano elaborato dalla Commissione Europea, in linea con gli auspici della “fronda” interna all’Unione Europea – di cui fanno parte Italia, Bulgaria, Belgio e Malta – che richiedeva soluzioni alternative per garantire il regolare finanziamento dell’Ucraina.
Secondo la premier Giorgia Meloni, ha prevalso «il buon senso», e quindi l’accantonamento dell’idea di riutilizzare i beni russi come garanzia per erogare il “prestito di riparazione” all’Ucraina. Quantomeno per ora. Gli asset russi restano comunque immobilizzati sine die. O meglio, fintantoché la Russia non avrà versato congrui risarcimenti all’Ucraina. Qualora Mosca si rifiutasse, l’Unione Europea potrebbe valutare l’ipotesi di appropriarsi direttamente dei beni russi immobilizzati come forma di rimborso del credito da 90 miliardi erogato a favore di Kiev.
Alessandro Volpi

Saggista, collaboratore di «Altraeconomia» e «Valori» e docente di Storia contemporanea presso il Dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa. È autore di numerosi volumi, tra cui Prezzi alle stelle. Non è inflazione, è speculazione (Laterza, 2023), I padroni del mondo. Come i fondi finanziari stanno distruggendo il mercato e la democrazia (Laterza, 2024), Nelle mani dei fondi. Il controllo invisibile della grande finanza (Altraeconomia, 2024), L’America secondo Trump. Prospettive economiche e scenari globali (La Vela, 2025), La guerra della finanza. Trump e la fine del capitalismo globale (Laterza, 2025).
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