Nei giorni scorsi, l’Office of the Director of National Intelligence, diretto da Tulsi Gabbard, ha pubblicato la valutazione annuale delle minacce (Annual Treath Assessment) per l’anno 2025. Il documento, redatto con la collaborazione dell’intera comunità d’intelligence statunitense, presenta un’analisi dai contenuti di estremo interesse e rilevanza. Sul fronte russo-ucraino, le forze armate russe continuano il processo di erosione delle posizioni ucraine lungo la linea di contatto del Donbass, negli oblast’ di Kursk e Belgorod, nelle regioni di Sumy, Chernihiv, Zaporižžja e Kherson. La piega presa dagli eventi sul campo di battaglia sta condizionando i negoziati russo-statunitensi: il viceministro degli Esteri russo Sergij Ryabkov ha specificato che Mosca apprezza gli sforzi statunitensi, ma le proposte avanzate finora dall’amministrazione Trump non risolvono le “cause profonde” del conflitto. A sua volta, Trump ha espresso frustrazione sia nei confronti dell’atteggiamento “scarsamente costruttivo” tenuto dalla Russia, che comunque è stata per il momento esentata dalla campagna tariffaria statunitense, sia riguardo alla renitenza di Zelensky a riconoscere l’assistenza militare e finanziaria ricevuta dagli Stati Uniti come debito e a sottoscrivere la bozza di accordo sulle risorse naturali ucraine predisposta da Washington. I portavoce del Cremlino hanno invece condannato la politica aggressiva nei confronti dell’Iran sfoderata dall’amministrazione Trump, che alle minacce esplicite ha affiancato lo schieramento di bombardieri B-2 Spirit e altro materiale militare presso la base di Diego Garcia. Parallelamente, il «New York Times» ha pubblicato una lunga e dettagliatissima inchiesta basata su confidenze rese da funzionari sia statunitensi che ucraini, da cui è emerso che il Pentagono, la Nato e gli apparati di intelligence occidentali rappresentano la «spina dorsale delle operazioni militari ucraine», e che l’Ucraina costituisce a sua volta un singolo anello della “catena di morte” statunitense. Secondo la ricostruzione formulata dal quotidiano, il progetto statunitense consisteva nell’impiegare l’Ucraina come “testuggine” per sferrare un colpo decisivo alla Russia, nell’ambito di un esperimento bellico volto a innovare l’approccio adottato in Afghanistan e in Iraq, verso un modello di guerra a distanza. O per procura. Il «New York Times» menziona in proposito Dragon, la task force formata da ufficiali ucraini e della Nato che aveva come centro di comando la base statunitense di Wiesbaden. La squadra si era sviluppata attorno al rapporto tra il generale ucraino Zabrodskyi e lo statunitense Donahue, a capo delle forze speciali statunitensi in Medio Oriente. Ogni mattina, ufficiali ucraini e statunitensi si riunivano per designare i bersagli più redditizi, definiti “punti di interesse” allo scopo di evitare qualsiasi ammissione di coinvolgimento diretto statunitense nel conflitto. Tutti i successi ottenuti, dall’affondamento della Moskva al bombardamento del quartier generale della 58a armata, passando per la distruzione del deposito di munizioni di Toropets, sono da ricondurre agli Stati Uniti sia quanto a designazione dell’obiettivo, sia in materia di determinazione delle modalità operative da impiegare. La relazione sarebbe andata consolidandosi nel corso degli anni, per poi iniziare a deteriorarsi verso la metà del 2023 a causa di divergenze e scontro interni alla classe dirigente di Kiev. Parliamo di tutto questo assieme a Francesco Cosimato, generale di brigata, paracadutista militare, direttore di lancio e ispettore per attività di controllo degli armamenti. Ha ricoperto numerosi incarichi di comando e staff, tra cui missioni in Somalia, Bosnia e Kosovo. Ha comandato unità come il I Gruppo del 33° Reggimento artiglieria terrestre Acqui e il 21° Reggimento Artiglieria Trieste. Ha operato presso lo Stato Maggiore dell’esercito e la Nato. Collabora con svariati giornali e riviste, tra cui «Krisis».
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