Lo scorso 23 gennaio, il leggendario giornalista investigativo Seymour Hersh ha scritto, basandosi su confidenze rese da una fonte di alto livello all’interno degli “apparati” statunitensi e dotata di accesso diretto al presidente Trump, che canali di comunicazione tra russi e ucraini volti all’individuazione di un terreno fertile su cui innestare un negoziato che ponga fine al conflitto sarebbero stati allacciati da tempo, ma le discussioni continuerebbero a cozzare contro una serie di ostacoli difficilmente sormontabili. Il presidente Zelens’kyj, dal canto suo, non sarebbe disposto a «perdere la faccia», mentre Trump aderirebbe all’idea che per indurre Mosca ad accettare un accordo occorra «garantire a Putin un modo per trarne guadagno» pecuniario. Ma soprattutto, Hersh sostiene che, stando a quanto rivelatogli dalla fonte, il magnate newyorkese intenda convincere in breve tempo gli europei a incrementare drasticamente le proprie spese militari, così da costituire una massa critica da spendere come minaccia credibile nei confronti della Russia e leva negoziale per “ammorbidire” il presidente Putin. «Il punto nodale – scrive Hersh – è che alcuni dei consiglieri di Trump ritengono che Putin ambisca a controllare una fetta di Ucraina più grande rispetto a quella che otterrà. E senza un maggiore appoggio da parte della Nato, sostengono i consiglieri della Casa Bianca, “Putin non recederà dal folle proposito di attaccare l’Occidente”». La visione intransigente sposata dagli assistenti di Trump identificherebbe Putin come un aggressore incallito a cui è stata improvvidamente concessa la possibilità di conseguire i propri obiettivi. È accaduto rispetto all’invasione della Georgia del 2008; all’incorporazione della Crimea nel 2014; all’aggressione all’Ucraina nel 2022; al continuo sostegno assicurato da Mosca all’Iran; al supporto attivo del Cremlino al Brics+, organismo considerato come una minaccia economica e potenzialmente militare per la comunità del G-7. Il cosiddetto “piano di pace” messo a punto dal generale Keith Kellogg, di cui la pubblicazione ucraina «Strana» ha illustrato i dettagli, si baserebbe su questo presupposto: adottare una postura muscolare per costringere ucraini e russi a trattare alle condizioni imposte da Washington. Qualora Kiev rifiutasse di collaborare, gli Stati Uniti interromperebbero completamente e con effetto immediato la propria assistenza militare a Kiev; nel caso in cui fosse Mosca ad opporsi, gli Stati Uniti irrobustirebbero pesantemente il regime sanzionatorio in essere e intensificherebbero le pressioni sugli alleati europei per indurli a espandere a dismisura i bilanci della difesa e mettere in soggezione la Russia. L’approccio improntato alla durezza che, a detta di Hersh, Trump e i “falchi” che lo consigliano avrebbero pianificato di adottare potrebbe registrare l’allineamento non soltanto dei governi della regione scandinavo-baltica, ma anche di Friedrich Merz, esponente di spicco della Cdu e probabile prossimo cancelliere tedesco – forse in un governo di coalizione con Afd – secondo cui le tre priorità della Germania consisterebbero nel «ripristinare la nostra capacità di deterrenza e di difesa; rafforzare la nostra capacità operativa a livello sia nazionale che di Unione Europea; porre fine all’invasione russa dell’Ucraina». Parliamo di tutto questo assieme a Roberto Buffagni, studioso di questioni strategiche, scrittore e collaboratore del sito «Italia e il Mondo».
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