Nei giorni scorsi, il primo ministro australiano Anthony Albanese e il presidente degli Stati Uniti Donald Trump hanno firmato un accordo non vincolante incentrato sui minerali critici da 8,5 miliardi di dollari. L’intesa mira formalmente a rafforzare le catene di approvvigionamento per le industrie commerciali e di difesa, ma soprattutto di diversificare i mercati, aumentare la resilienza e contrastare pratiche commerciali sleali.
Il riferimento – non troppo – implicito è alla Cina, che solo pochi giorni addietro ha introdotto l’obbligo per tutte le aziende straniere che impieghino terre rare prodotte e/o raffinate presso l’ex Celeste Impero per lo sviluppo di semiconduttori di dimensioni pari o inferiori ai 14 nanometri di richiedere un’approvazione preliminare da parte di Pechino.
Si tratta di una misura dagli effetti dirompenti, alla luce della posizione assolutamente dominante acquisita dalla Cina nel settore, che va a elevare drasticamente il tono della guerra commerciale in corso ormai da anni.
Per il segretario al Tesoro Scott Bessent, «questo provvedimento pone la Cina contro tutto il mondo. Pechino ha puntato un bazooka contro le catene di approvvigionamento e la base industriale dell’intero mondo libero».
Fabio M. Parenti

saggista e professore di economia politica presso la China Foreign Affairs University di Pechino e l’Italian International Institute Lorenzo de’ Medici di Firenze. Ha insegnato anche a Città del Messico, Monterrey e Manchester, dove continua a tenere collaborazioni accademiche. È autore di numerosi volumi, tra cui Geofinanza e geopolitica (Egea, 2016); Il socialismo prospero. Saggi sulla via cinese (Nova Europa, 2017); La via cinese. Sfida per un futuro condiviso (Meltemi, 2021).
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