Nei giorni scorsi, l’Office of the Director of National Intelligence, diretto da Tulsi Gabbard, ha pubblicato la valutazione annuale delle minacce (Annual Treath Assessment) per l’anno 2025. Il documento, redatto con la collaborazione dell’intera comunità d’intelligence statunitense, sostiene tra le altre cose che «la Russia ha preso il sopravvento nella sua invasione su vasta scala dell’Ucraina e si trova sulla buona strada per accumulare l’influenza necessaria a spingere Kiev e i suoi sostenitori occidentali a negoziare una conclusione della guerra che soddisfi le condizioni poste da Mosca […]. Anche se il presidente Putin non riuscirà a ottenere la vittoria totale che aveva immaginato quando ha avviato l’invasione nel febbraio 2022, la Russia mantiene lo slancio nelle consapevolezza che la guerra di logoramento gioca a suo favore. Un confronto di questo tipo comporterà un’erosione graduale ma costante della posizione di Kiev sul campo di battaglia, indipendentemente da qualsiasi tentativo degli Stati Uniti o degli alleati di imporre nuovi e maggiori costi a Mosca». Ne consegue che, per gli Stati Uniti, «prolungare la guerra Russia-Ucraina non fa che perpetuare i rischi strategici di un’escalation verso una guerra su larga scala, implicante il potenziale uso di armi nucleari, una maggiore insicurezza tra gli alleati della Nato (in particolare in Europa centrale, orientale e settentrionale) e una crescente intraprendenza da parte di Cina e Corea del Nord». Le valutazioni del Director of National Intelligence animano gli orientamenti dell’amministrazione Trump riguardo al conflitto russo-ucraino, che sta tuttavia ponendo gli Stati Uniti in collisione con i loro satelliti europei, a tutt’oggi vincolati a una visione diametralmente opposta. Ne parliamo assieme a Roberto Buffagni, scrittore, studioso di questioni geostrategiche e collaboratore del sito «L’Italia e il Mondo».
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