Nei giorni scorsi, il presidente iraniano Pezeshkian è volato a Mosca per firmare assieme al suo omologo russo Putin un accordo di partnership strategica globale tra Russia e Iran di durata ventennale che potrebbe rivelarsi un elemento fondamentale dell’architettura di sicurezza eurasiatica in via di strutturazione. L’intesa, che va ad affiancarsi ad un accordo sotto alcuni aspetti simile raggiunto tra Teheran e Pechino nel 2021, rafforza oggettivamente la posizione strategica della Repubblica Islamica, legandola a una grande potenza come la Russia in una fase resa particolarmente critica dall’insediamento di Donald Trump. Il magnate newyorkese ha infatti annunciato l’intenzione di ripristinare la politica della “massima pressione” sull’Iran, dietro il pungolo del primo ministro israeliano Netanyahu che da decenni mira a un regolamento di conti definitivo con l’ex Impero Persiano. Senonché, il quotidiano israeliano «Haaretz» ha riportato, basandosi su fonti di alto livello interne al governo israeliano, che la recente tregua raggiunta a Gaza tra l’esecutivo guidato da Netanyahu e la leadership di Hamas sarebbe frutto dell’intervento di Steve Witkoff, che in qualità di inviato speciale di Trump in Medio Oriente avrebbe schiacciato politicamente Netanyahu imponendogli l’accordo, che sta suscitando grossi malumori all’interno del governo di Tel Aviv. Sul fronte ucraino, invece, le forze armate russe continuano ad avanzare, mentre Michael Waltz, consigliere per la Sicurezza Nazionale di Trump, ha esercitato pressioni su Kiev affinché portasse il limite minimo di età per gli arruolamenti da 25 a 18 anni. In un comunicato risalente allo scorso 20 gennaio, il Dipartimento di Stato ha specificato che, «ad oggi, abbiamo fornito 65,9 miliardi di dollari in assistenza militare da quando la Russia ha lanciato la sua premeditata, non provocata e brutale invasione su vasta scala dell’Ucraina il 24 febbraio 2022, e circa 69,2 miliardi di dollari in assistenza militare dall’invasione iniziale dell’Ucraina nel 2014. Abbiamo utilizzato l’autorità presidenziale di prelievo di emergenza in 55 occasioni dall’agosto 2021 per fornire assistenza militare all’Ucraina per un totale di circa 27,68 miliardi di dollari attingendo alle scorte del Dipartimento della Difesa». Eppure, il segretario generale della Nato Mark Rutte ha ammesso che l’Ucraina non è nelle condizioni per negoziare da una posizione di forza, ed ha aggiunto che «l’attuale 2% del Pil che i Paesi europei della Nato destinano al bilancio della difesa è irrilevante. La Russia sforna in soli 3 mesi la produzione che l’intera Nato da Los Angeles ad Ankara è in grado di sostenere nell’arco di un anno». Parliamo di tutto questo assieme a Jacques Baud, saggista ed ex colonnello dell’intelligence svizzera specializzato in questioni russe ed europee, con impieghi presso la Nato e le Nazioni Unite.
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