A Jeddah, i negoziatori statunitensi e ucraini hanno definito una proposta di pace condivisa da presentare alla Russia, di cui non sono stati tuttavia resi noti i termini precisi. Dalla dichiarazione congiunta pubblicata a margine dell’incontro si evince che la bozza contemplerebbe una tregua di 30 giorni rinnovabile a seconda della volontà delle parti, impegnando al contempo gli Stati Uniti a riattivare il flusso di materiale militare e dati di intelligence a favore di Kiev indipendentemente dal raggiungimento di un accordo con Mosca. A dispetto del pur comprensibile entusiasmo generale suscitato dall’intensificazione attivismo diplomatico statunitense, le probabilità che Mosca accetti una proposta del genere appaiono remotissime. Una tregua in una condizione di oggettiva e crescente difficoltà delle forze armate ucraine, associata alla prosecuzione delle forniture di fondi e attrezzature militari da parte dell’Unione Europea e alla ripresa del sostegno statunitense a Kiev, delinea un quadro piuttosto simile a quello definito dagli Accordi di Minsk, parimenti rivolto ad assicurare all’Ucraina una finestra temporale utile per riorganizzarsi, riarmarsi, rilanciare la produzione bellica interna, ripristinare linee logistiche e rete elettrica, allestire fortificazioni in prossimità del fronte. Un’intesa appare quindi lontanissima, a meno che l’imminente visita a Mosca dell’inviato statunitense Steve Witkoff e il prossimo colloquio diretto tra il presidente Trump e il suo omologo Putin non conducano a sviluppi particolarmente significativi, cioè all’accettazione delle condizioni vincolanti poste dal Cremlino riguardo alla neutralità futura dell’Ucraina, alla revoca delle sanzioni, al riconoscimento dei territori conquistati e all’assenza di forze occidentali in territorio ucraino. Il documento stilato a Jeddah delinea insomma i contorni di un accordo confezionato a esclusivo vantaggio dell’Ucraina, che ignora palesemente la realtà sul campo di battaglia e tradisce una incrollabile riluttanza degli Stati Uniti ad accettare quella che si configura come una durissima sconfitta strategica. Ne parliamo assieme a Giuseppe Germinario, studioso di questioni geostrategiche e animatore del sito «L’Italia e il Mondo».
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