Nei giorni scorsi, il Consiglio d’Europa ha stabilito che il finanziamento dell’Ucraina verrà espletato attraverso l’erogazione di un prestito a tasso zero a favore di Kiev garantito dal bilancio europeo. L’Ungheria di Viktor Orban non parteciperà, così come la Slovacchia Robert Fico e la Repubblica Ceca di Andrej Babis.
L’intesa sancisce la marginalizzazione della linea oltranzista sposata dai vertici della Commissione Europea (Ursula Von der Leyen e Kaja Kallas) e dal cancelliere Friedrich Merz che puntava al reimpiego dei fondi russi congelati a favore dell’Ucraina.
Secondo la premier Giorgia Meloni, il verdetto sfornato dal Consiglio d’Europa indica che «ha prevalso il buon senso».
L’allarme di Viktor Orban
Per il primo ministro Viktor Orban, invece, l’intesa sul credito da 90 miliardi di euro, a cui l’Ungheria non parteciperà al pari di Slovacchia e Repubblica Ceca, rappresenta un passo avanti verso il baratro.
Viktor Orban sottolinea che «il rimborso non è legato alla crescita economica o alla stabilizzazione, ma alla vittoria militare. Per recuperare questo denaro, la Russia dovrebbe essere sconfitta».

Questa, aggiunge Viktor Orban, «non è la logica della pace, ma quella della guerra. Un prestito di guerra rende inevitabilmente i suoi finanziatori interessati alla continuazione e all’escalation del conflitto, perché una sconfitta significherebbe anche una perdita finanziaria. D’ora in poi, non si parla più solo di decisioni politiche o morali, ma di rigidi vincoli finanziari che spingono l’Europa in una sola direzione: verso la guerra. La logica bellica di Bruxelles si sta quindi intensificando. Non sta rallentando, ma si sta istituzionalizzando. Il rischio oggi è maggiore che mai, perché la continuazione della guerra è ora associata a un interesse finanziario».
L’Ungheria, sostiene Viktor Orban, «sceglie consapevolmente di non intraprendere questa pericolosa strada. Non prendiamo parte a iniziative che suscitino l’interesse dei partecipanti a prolungare la guerra. Non cerchiamo una scorciatoia verso la guerra, ma un’uscita verso la pace.
Non si tratta, evidenzia Viktor Orban, di «isolazionismo, ma di sobrietà strategica. Di agire nell’interesse dell’Ungheria e, a lungo termine, anche dell’Europa».
La riflessione formulata da Viktor Orban ha trovato istantaneamente riscontro nella presa di posizione del presidente Zelensky, secondo cui lo stanziamento di 90 miliardi di euro da parte dell’Europa rappresenta «una decisione senza precedenti che produrrà un impatto anche sui negoziati di pace. L’Ucraina si troverà in una posizione più forte».
I fondi «sono destinati al periodo 2026-2027 e contiamo di utilizzare tutti i 210 miliardi dei beni russi. Ci rendiamo conto che il prestito senza interessi sarà rimborsato dall’Ucraina soltanto a condizione che la Russia paghi le riparazioni all’Ucraina. Si tratta quindi di una vittoria importante, tangibile e significativa, e non solo dal punto di vista finanziario». Sotto il profilo «geopolitico e politico, i leader europei hanno dimostrato la loro forza e hanno avuto l’integrità necessaria per prendere una decisione del genere» ha aggiunto Zelensky.
Parallelamente, a Mosca, un ordigno esplosivo collocato sotto il telaio di un’automobile ha assassinato il generale Fanil Sarvarov, a capo del Dipartimento di Addestramento Operativo dello Stato Maggiore russo.
La portavoce del comitato investigativo russo Svetlata Petrenko ha ipotizzato fin da subito il coinvolgimento dei servizi di sicurezza ucraini nell’attentato, specialmente alla luce dei numerosi precedenti – dalla giornalista Darya Dugina al generale Igor Kirillov.
Gianandrea Gaiani

Giornalista, saggista e direttore della rivista «Analisi Difesa». Dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. È autore di numerosi volumi, tra cui Immigrazione. La grande farsa umanitaria (Aracne Editrice, 2017) e L’ultima guerra contro l’Europa. Come e perché tra Russia, Ucraina e Nato le vittime designate siamo noi (Il Cerchio, 2023).
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