Nei giorni scorsi, al culmine di una serie di presunte “provocazioni russe” lungo il fianco orientale della Nato, il presidente Zelensky ha richiesto al suo omologo Trump la fornitura di «sistemi d’arma aggiuntivi che spingano il presidente russo Putin ad avviare colloqui di pace, forse senza che l’Ucraina debba nemmeno utilizzarli». Una fonte ucraina ha confidato ad «Axios» che si trattava dei missili guidati a lungo raggio Tomahawk, di cui il vicepresidente Vance ha annunciato la possibile, imminente consegna a Kiev al fine di «svegliare i russi». Parallelamente, il «Telegraph» britannico scrive che «le nazioni europee devono accettare di poter contare su un supporto minimo da parte degli Stati Uniti […], e che la nostra influenza sul futuro del continente è direttamente proporzionale alla nostra volontà di usare la forza – e di correre rischi – per difenderlo. Un’opzione proposta da un gruppo di politici e soldati occidentali di alto livello consiste nell’installazione di uno scudo di difesa aerea sull’Ucraina occidentale per abbattere missili e droni russi, con l’opzione finale di estendere tale scudo – un’efficace no-fly zone – su Kiev stessa […]. Dal momento che la campagna aerea della Russia è condotta da droni e missili a lungo raggio lanciati da ben all’interno dello spazio aereo russo, un’operazione del genere non rischierebbe di infliggere perdite alle forze armate russe. Dimostrerebbe però che l’Europa è abbastanza determinata a reagire alle incursioni aeree, e ad assumersi un certo grado di rischio per farlo. Farebbe anche una differenza sostanziale per lo sforzo bellico dell’Ucraina. Soprattutto, segnalerebbe a Putin che, se la Russia pone problemi all’Occidente, l’Europa può fare lo stesso alla Russia. I leader europei riuniti a Copenaghen questa settimana discuteranno senza dubbio di questo, insieme ad altre idee. Ma la cosa importante è che, qualunque sia la loro posizione, inviino un chiaro segnale a Mosca». Le rivelazioni fornite dal «Telegraph» giungono a pochi giorni di distanza dalla pubblicazione sul «Daily Mail» di un articolo in cui Richard Shirreff, generale britannico ed ex vicecapo del comando supremo alleato in Europa della Nato, delineava i contorni di un immaginario conflitto su larga scala che prenderebbe avvio all’inizio di novembre con un attacco russo contro i Paesi baltici, seguito a strettissimo giro di boa da una concordata invasione cinese di Taiwan. Per il generale britannico, «la Russia, alla disperata ricerca di sostegno finanziario e militare nella sua prolungata guerra contro l’Ucraina, potrebbe trarre molteplici vantaggi dal ruolo di cane da attacco della Cina, mettendo a nudo la debolezza della Nato e la riluttanza degli Stati Uniti di Donald Trump a intervenire. Ma il mandato di Trump termina di fatto nel 2028. E, per allora, il tardivo piano di riarmo dell’Europa sarà in corso, rafforzando le nostre capacità difensive. Quindi, le potenziali ricompense per Xi e Putin di un attacco a sorpresa contro l’Occidente sono immense. Ma per trarne vantaggio, dovranno agire al più presto. Siamo sull’orlo di un conflitto catastrofico tra superpotenze su due fronti – la definizione stessa di guerra mondiale». Nello scenario ipotetico immaginato da Shirreff, gli Stati Uniti si tengono completamente fuori da entrambi i fronti, accettano di buon grado la conquista dei Paesi baltici ad opera della Russia e si limitano a minacciare pesanti sanzioni contro la Cina. Così, scrive Shirreff, «in soli cinque giorni, l’equilibrio del potere globale è cambiato radicalmente. La Cina ha conquistato il premio che desiderava da tempo. La Russia ha garantito la conquista finale dell’Ucraina e ha iniziato a reclamare i Paesi baltici. La Nato si è disintegrata. L’Europa sta preparando una nuova alleanza con l’Estremo Oriente. E la Gran Bretagna si è rivelata una piccola isola incapace di difendersi meglio di Taiwan». Come interpretare tutto questo?
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