Lo scorso 8 agosto, il presidente Trump ha ufficializzato l’intesa raggiunta presso la Casa Bianca tra il primo ministro armeno Nikol Pashinyan e il presidente azero Ilham Aliyev, che impegna i due leader a moltiplicare gli sforzi «per l’istituzione della pace e delle relazioni interstatali tra le repubbliche di Azerbaijan e Armenia». L’accordo, annunciato trionfalmente dal presidente statunitense, include un intero capitolo dedicato all’approfondimento delle relazioni commerciali, attraverso la realizzazione di progetti quali il cosiddetto Trump Route for International Peace and Prosperity. Si tratta dell’ormai arcinoto Corridoio Zangezur, un collegamento infrastrutturale tra Turchia, Azerbaijan e Armenia la cui costruzione è stata affidata a un consorzio di società statunitensi e armene, ai sensi di un trattato in cui si specifica che i contraenti «non schiereranno lungo i confini comuni forze armate di terze parti». La clausola sembra aver tranquillizzato le autorità russe e, soprattutto, iraniane, inclini a identificare il Corridoio Zangezur come una testa di ponte occidentale in un’area strategicamente fondamentale come il Caucaso. Il ministro degli Esteri armeno ha fornito precise rassicurazioni al suo omologo iraniano nel corso di una recente visita di Stato in Iran. Sia Mosca che Teheran manifestano invece una certa preoccupazione nei confronti dell’Azerbaijan, alleato solidissimo di Turchia e Israele.
Fabrizio Vielmini

Saggista, ricercatore associato presso Vision and Global Trends e specialista di storia della Russia, del Caucaso e dell’Asia centrale. Fra il 2002 ed il 2021 ha risieduto nell’ex-Unione Sovietica, dove ha lavorato per l’Osce e l’Unione Europea. È autore di numerosi volumi, tra cui Kazakistan, fine di un’epoca. Trent’anni di neoliberismo e geopolitica nel cuore della terra (Mimesis, 2023).
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