Lo scorso giugno, durante una festa del Partito Repubblicano tenutasi in Ohio, il vicepresidente Jd Vance ha tratteggiato i contorni della cosiddetta “Dottrina Trump”, articolandola in tre capisaldi fondamentali: definire l’interesse statunitense; esercitare una forte pressione diplomatica per perseguirlo; ricorrere all’opzione militare una volta appurata l’inefficacia dell’azione diplomatica. Secondo Vance, la “Dottrina Trump” sarebbe stata plasticamente applicata nei confronti dell’Iran: gli Stati Uniti intendono impedire alla Repubblica Islamica di dotarsi dell’arma nucleare, e hanno coerentemente avviato una aggressiva campagna diplomatica nei confronti di Teheran, fallita la quale sono passati alle maniere forti avvalendosi, per citare Vance, di «una potenza militare schiacciante per risolvere il problema e ritirarsi prima di essere risucchiati in un conflitto prolungato». Significativamente, l’intervento statunitense in Iran scontava la contrarietà della direttrice della National Intelligence Tulsi Gabbard, oltre che dello stesso Vance. La prima ha innestato una radicale retromarcia, correggendo pesantemente il significato delle valutazioni di intelligence che aveva sottoscritto appena tre mesi prima per accordarle alle intenzioni del presidente; il secondo, afferma la «Nbc», si è riciclato nel ruolo di “venditore” nel tentativo di legittimare l’attacco statunitense che contraddice palesemente gli impegni anti-interventisti assunti da Trump e dai suoi collaboratori durante la campagna elettorale. «Comprendo assolutamente – ha dichiarato Vance – la frustrazione dei cittadini statunitensi che sono esausti dopo 25 anni di coinvolgimenti stranieri in Medio Oriente. Capisco la preoccupazione, ma la differenza è che in passato eravamo in balia di presidenti inetti, mentre ora abbiamo un presidente che sa davvero come raggiungere gli obiettivi di sicurezza nazionale degli Stati Uniti. Uno scontro con l’Iran non si trasformerà in un conflitto lungo ed estenuante. Siamo entrati, abbiamo raggiunto l’obiettivo di rallentare il loro programma nucleare. Ora lavoreremo per smantellare definitivamente quel programma nucleare nei prossimi anni, ed è ciò che il presidente si è prefissato di fare. Un principio semplice: l’Iran non può avere un’arma nucleare». La spiegazione schematica ed estremamente semplicistica, concepita in tutta evidenza a fini “pubblicitari”, fornita da Vance lascia completamente inevase questioni di enorme rilievo.
Nicolai Petro

Saggista, professore di Scienze politiche presso l’Università di Rhode Island e membro del think-tank Institute for Peace & Diplomacy. Sotto l’amministrazione guidata da George H.W. Bush, ha ricoperto l’incarico di assistente speciale del Dipartimento di Stato per le politiche verso l’Unione Sovietica. È autore di numerosi volumi, tra cui The rebirth of Russian democracy. An interpretation of political culture (Harvard University Press, 1997), Crafting democracy. How Novgorod has coped with rapid social change (Cornell University Press, 2004) The tragedy of Ukraine. What classical Greek tragedy can teach us about conflict resolution (De Gryter, 2023).
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