Al recente Forum di Valdai, il presidente Putin ha dichiarato che «le forze armate della Federazione Russa hanno liberato oltre 609 km² di territorio nella zona dell’Operazione Militare Speciale nel settembre 2025» e aggiunto che l’esercito russo «controlla due terzi di Kupyansk, è penetrato a Pokrovsk, Konstantinovka e Seversk e mantiene l’iniziativa lungo tutta la linea del fronte». Vanno inoltre intensificandosi gli attacchi aerei e missilistici russi, che evidenziano un calo della capacità ucraina di opporre resistenza. Il «New York Times», dal canto suo, scrive che «nonostante l’Ucraina dichiari che l’industria nazionale degli armamenti sia un arrivata a produrre il 60% delle armi necessarie all’esercito, le audizioni hanno individuato falle sistemiche come pagamenti eccessivi, contratti “segreti” ed equipaggiamento mancante, il tutto coperto dal segreto di Stato. Dozzine di contratti sono stati assegnati agli appaltatori che chiedevano di più, sprecando così almeno 129 milioni di dollari. Si parla di consegne d’armi effettuate in ritardo o mai avvenute, pagamenti versati in anticipo senza un successivo riscontro che denotano una mancanza di trasparenza». Le forze ucraine, in compenso, colpiscono raffinerie e centri di stoccaggio di idrocarburi in territorio russo, avvalorando le rivelazioni formulate da Seymour Hersh secondo cui l’amministrazione Trump reputerebbe la Russia vulnerabile in un’ottica di medio-lungo periodo se venissero prese di mira con sistematicità proprio le sue infrastrutture energetiche. Su «Unherd», Edward Luttwak si chiede se Putin vedrà il bluff della Nato, composta da una tigre di carta europea bellicosa ma disarmata. A suo avviso, la strutturale mancanza di investimenti in difesa dell’Europa fa sì che «l’eterogeneo esercito di Putin – mercenari cresciuti in Russia nelle zone più povere e remote, criminali condannati e soldati schiavi nordcoreani – possa comunque spaventare i governi europei spingendoli a riarmarsi a caro prezzo. Quanto a Donald Tusk e ai suoi polacchi, farebbero bene a imparare la lezione di un’altra incursione russa a settembre. Non nel 2025, ma nel 1939, quando l’esercito francese non si mosse e la Royal Air Force non bombardò. La differenza ora, ovviamente, è che la Polonia potrebbe davvero difendersi, se emulasse i finlandesi dall’altra parte del Baltico e arruolasse diciottenni, continuando ad aggiungere soldati addestrati alle sue unità di riserva. Se fallisse, tuttavia, Putin non farebbe altro che continuare a insistere». Intanto, in quell’“emisfero occidentale” a cui la bozza della National Defense Strategy assegna la priorità rispetto a tutti gli altri teatri, si registra l’interruzione dei colloqui diplomatici tra personale statunitense guidato dall’inviato speciale Richard Grenell e funzionari del presidente Maduro. Secondo quanto scrive «Reuters» solla base di confidenze rese da alti funzionari di Washington, «sebbene stia valutando la possibilità di sferrare attacchi all’interno del Venezuela, il presidente Trump non ha ancora deciso se far passare la sua campagna militare a una seconda fase», supplementare a quella implicante lo schieramento di un imponente dispositivo militare nei Caraibi.
Gianandrea Gaiani

Giornalista, saggista e direttore della rivista «Analisi Difesa». Dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. È autore di numerosi volumi, tra cui Immigrazione. La grande farsa umanitaria (Aracne Editrice, 2017) e L’ultima guerra contro l’Europa. Come e perché tra Russia, Ucraina e Nato le vittime designate siamo noi (Il Cerchio, 2023).
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