L’offensiva tariffaria scatenata dall’amministrazione Trump ha apertamente individuato come obiettivo la Repubblica Popolare Cinese, specialmente a fronte dell’atteggiamento improntato alla fermezza che Pechino ha adottato in risposta ai dazi statunitensi. Parallelamente alle ritorsioni tariffarie, alla svalutazione dello yuan-renminbi, all’introduzione di restrizioni in materia di export di materiali critici verso gli Stati Uniti, all’interruzione degli acquisiti di Gas Naturale Liquefatto statunitense e all’utilizzo delle riserve di Treasury Bond come strumento di ricatto, la Cina ha incrementato gli sforzi per rinsaldare le relazioni politiche, economiche e commerciali con il resto del mondo. A partire dagli Stati di più stretta prossimità geografica, attraverso un tour diplomatico che ha visto il presidente Xi Jinping visitare Paesi chiave quali Malaysia, Cambogia e, soprattutto Vietnam. L’irremovibilità di Pechino è risultata molto stridente rispetto all’atteggiamento estremamente conciliatorio adottato dall’Unione Europea, a cui Trump aveva richiesto di acquistare ulteriori 350 miliardi di dollari di forniture energetiche per correggere lo squilibrio commerciale transatlantico. Sussiste infatti la concreta possibilità che il “vecchio continente” si pieghi al diktat imposto dagli Usa, che ventilano la possibilità di abbassare le barriere tariffarie nei confronti dei partner disposti a recidere o quantomeno ridurre i rapporti di collaborazione con la Cina. In un modo o nell’altro, gli Stati Uniti sembrano disposti a continui rilanci pur di disaccoppiare se stessi e i loro satelliti dall’ex Celeste Impero.
Davide Martinotti

Studioso di questioni geostrategiche, specialista di mondo e cultura cinese stabilitosi ormai da tempo in Cina e animatore del canale YouTube «Dazibao».