Lo scorso 7 novembre, il presidente Zelensky ha riferito, citando dati forniti dallo Stato Maggiore delle forze armate di Kiev in merito all’andamento della guerra, che a Pokrovsk non era in atto alcun accerchiamento di migliaia di soldati ucraini. A suo avviso, nella zona si registrava la presenza di appena 314 soldati russi, i quali avevano ridotto la loro attività in attesa di rinforzi.

Intervistato dal «Guardian», lo stesso presidente ucraino ha dichiarato che «Putin si trova in una situazione di stallo sul campo di battaglia. Siamo qui in guerra a difendere l’Ucraina. La nostra società la difende, il nostro esercito la difende. Il corpo dello Stato la difende».

Nel frattempo, la compagnia energetica ucraina Centrenergo denuncia «il più massiccio attacco alle nostre centrali termoelettriche dall’inizio della guerra. Un numero senza precedenti di missili e innumerevoli droni – diversi al minuto – hanno preso di mira le stesse centrali termoelettriche che avevamo ripristinato dopo il devastante attacco del 2024 […]. È passato meno di un mese dall’attacco precedente, e stanotte il nemico ha attaccato simultaneamente l’intera produzione di energia dell’Ucraina. Le centrali sono in fiamme. Attualmente, la produzione di energia è ridotta a zero. Zero! Abbiamo perso ciò che stavamo ricostruendo. Completamente!».
Il quotidiano ucraino «Defense Express», in aggiunta, evidenzia che la base produttiva nazionale per la fabbricazione di missili è droni, fondamentale per la guerra, è irreparabilmente compromessa, a causa degli attacchi aerei russi contro laboratori e infrastrutture per la produzione di carburante per missili. Fonti ucraine sostengono che gli attacchi russi si sono concentrati soprattutto contro lo stabilimento di Pavlograd, coinvolto nell’assemblaggio dei missili Neptune e Grom-2 nonché l’unico complesso a fornire carburante per i programmi missilistici ucraini, finanziati dalla Germania.
Il tutto mentre, documenta il Kiel Institute, l’assistenza militare degli sponsor occidentali nei confronti dell’Ucraina crolla letteralmente. Si parla di un calo del 57%, emblematico di una tendenza riscontrabile anche tra i sostenitori extraeuropei dell’Ucraina. L’assistenza complessiva è diminuita del 43% nel medesimo arco temporale, a dispetto del pacchetto da 1,2 miliardi di dollari annunciato dal Canada lo scorso agosto.
Dati inequivocabili, attestanti una declinante capacità di rifornire con continuità e regolarità i soldati ucraini in guerra da parte del gruppo di sostegno internazionale, da cui gli Stati Uniti sono fuoriusciti all’inizio del 2025 per riciclarsi come “piazzisti” a gettone di materiale militare.
Il riposizionamento statunitense varato sotto l’amministrazione Trump ha indotto l’Unione Europea a sobbarcarsi gran parte degli oneri legati alla prosecuzione della guerra e perfino ad allargare ulteriormente i cordoni della borsa per l’acquisto di armamenti statunitensi da trasferire a Kiev, nell’ambito della Prioritized Ukraine Requirements List (Purl) predisposta dalla Nato. Al punto da portare la media mensile degli stanziamenti a favore di Kiev registrata nella prima metà del 2025 al di sopra della quota registrata durante il periodo 2022-2024, nonostante l’interruzione del supporto statunitense.
«Bloomberg», intanto, sottolinea che il sostegno dell’Ucraina da parte della Polonia manifesta crepe sempre più profonde. Lo certificano i risultati di un sondaggio condotto dall’istituto di ricerca di Varsavia Cbos, attestanti un calo della disponibilità della popolazione locale ad accogliere rifugiati ucraini dal 94 al 48% tra il marzo 2022 e l’ottobre 2025.
Sullo sfondo, il ministro della Difesa Belousov ha richiamato l’attenzione del presidente Putin sul possibile schieramento, da parte di Washington, di sistemi missilistici a medio raggio in Europa e nella regione Asia-Pacifico. Più specificamente, Belousov ha espresso la convinzione che gli Stati Uniti intendano rendere operativo il missile ipersonico Dark Eagle entro la fine di quest’anno e schierarlo in Germania l’anno prossimo, da dove potrebbe colpire obiettivi nella Russia centrale nell’arco di sei-sette minuti.
A Mosca è forte il timore che, da provvisorio (come previsto dagli accordi in essere), il dispiegamento del sistema missilistico diventi permanente, come è già avvenuto con i Typhon nelle Filippine. In risposta a queste minacce, la Russia ha sospeso la moratoria sul dispiegamento di missili a medio e corto raggio, dopo aver testato con successo il missile Burevestnik e il drone sottomarino Poseidon.
Fabio Mini

Generale di corpo d’armata, saggista e collaboratore de «Il Fatto Quotidiano». Ha comandato tutti i livelli di unità da combattimento e prestato lunghi periodi di servizio negli Stati Uniti, in Cina, nei Balcani e nella Nato. È stato Capo di Stato Maggiore del Comando Alleato del Sud Europa e comandante della forza internazionale di sicurezza in Kosovo. È autore di numerosi volumi, tra cui Le regole della guerra. Un commento alle massime di Quinton alla luce del conflitto in Ucraina (Mimesis, 2022), L’Europa in guerra (PaperFirst, 2023), La Nato in guerra. Dal patto di difesa alla frenesia bellica (Dedalo, 2025).
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