L’Unione Europea ha varcato il Rubicone? La domanda si pone con forza alla luce delle recenti deliberazioni in materia di prosecuzione del sostegno finanziario all’Ucraina.
Nei giorni scorsi, il Consiglio d’Europa ha infatti stabilito che il finanziamento dell’Ucraina verrà espletato attraverso l’erogazione a favore di Kiev di un prestito a fondo perduto e a tasso zero garantito dal bilancio europeo.
L’intesa per la concessione del prestito a Kiev, raggiunta con l’astensione di Slovacchia e Ungheria che non parteciperanno allo sforzo al pari della Repubblica Ceca (che ha votato però a favore), sancisce la marginalizzazione della linea oltranzista sposata dai vertici della Commissione Europea (Ursula Von der Leyen e Kaja Kallas) e dal cancelliere Friedrich Merz che puntava al reimpiego dei fondi russi congelati a favore dell’Ucraina, come previsto dal piano d’azione predisposto dalla Commissione Europea.
Nel dettaglio, la proposta prevedeva l’attivazione di una procedura di conversione dei beni russi sottoposti a congelamento in garanzie per la concessione di un “prestito di riparazione” volto a coprire parte sostanziale dei costi di difesa e ricostruzione dell’Ucraina per il biennio 2026-2027 – periodo in cui, stima il Fondo Monetario Internazionale, il Paese necessiterà di non meno di 137 miliardi di euro. Lo stesso meccanismo subordinava l’estinzione del debito contratto da Kiev con l’Unione Europea alla disponibilità della Russia a risarcire l’Ucraina per i danni subiti.
Questa opzione sembrava scontare il consenso maggioritario dell’Unione Europea, specialmente alla luce del precedente provvedimento di immobilizzazione sine die dei beni russi sottoposti a congelamento approvato dal Consiglio d’Europa il 12 dicembre precedente.

Le autorità russe, tuttavia, non hanno incassato passivamente le iniziative europee. La Bank of Russia, dal canto suo, ha citato Euroclear in giudizio presso il Tribunale arbitrale di Mosca richiedendo un risarcimento di 18,2 trilioni di rubli (circa 200 miliardi di euro) in conseguenza del «furto di proprietà» consumato con il voto del Consiglio d’Europa del 12 dicembre, in linea con le dichiarazioni formulate sul punto.
Lo stesso presidente Putin ha ventilato «conseguenze davvero dure. Non importa cosa rubino, prima o poi dovranno restituirlo e, cosa più importante, andremo in Tribunale per proteggere i nostri interessi. Faremo del nostro meglio per trovare una giurisdizione indipendente dal contesto politico».
I Paesi membri dell’Unione Europea, ha aggiunto il leader del Cremlino, si sarebbero esposti a conseguenze ancor più gravi: «non soltanto un duro colpo alla loro immagine, ma anche una perdita di fiducia nell’eurozona. Oltre alla Russia, molti altri Paesi conservano le proprie riserve auree e valutarie in Europa, così come quelli che dispongono di risorse libere».
Questo genere di prospettive hanno indubbiamente contribuito a spostare massa critica a favore della posizione disallineata assunta dalla “fronda” interna all’Unione Europea, al pari delle forti pressioni esercitate dall’amministrazione Trump, perfettamente consapevole che l’utilizzo dei beni russi avrebbe affossato irrimediabilmente le trattative tuttora in corso.
Secondo la premier Giorgia Meloni, il verdetto sfornato dal Consiglio d’Europa indica che «ha prevalso il buon senso».
Orban: il Rubicone è stato oltrepassato
Per il primo ministro magiaro Viktor Orban, invece, il Rubicone è stato attraversato. L’intesa sul credito da 90 miliardi di euro, a cui l’Ungheria non parteciperà al pari di Slovacchia e Repubblica Ceca, rappresenta a suo avviso un passo avanti verso il baratro.
Il leader ungherese sottolinea che «il rimborso non è legato alla crescita economica o alla stabilizzazione, ma alla vittoria militare. Per recuperare questo denaro, la Russia dovrebbe essere sconfitta». Il Rubicone è oltrepassato irrimediabilmente.
Questa «non è la logica della pace, ma quella della guerra. Un prestito di guerra rende inevitabilmente i suoi finanziatori interessati alla continuazione e all’escalation del conflitto, perché una sconfitta significherebbe anche una perdita finanziaria. D’ora in poi, non si parla più solo di decisioni politiche o morali, ma di rigidi vincoli finanziari che spingono l’Europa in una sola direzione: verso la guerra. La logica bellica di Bruxelles si sta quindi intensificando. Non sta rallentando, ma si sta istituzionalizzando. Il rischio oggi è maggiore che mai, perché la continuazione della guerra è ora associata a un interesse finanziario».
L’Ungheria «sceglie consapevolmente di non intraprendere questa pericolosa strada. Non prendiamo parte a iniziative che suscitino l’interesse dei partecipanti a prolungare la guerra. Non cerchiamo una scorciatoia verso la guerra, ma un’uscita verso la pace. Non si tratta di «isolazionismo, ma di sobrietà strategica. Di agire nell’interesse dell’Ungheria e, a lungo termine, anche dell’Europa».
La riflessione formulata da Orban, secondo cui il Rubicone è stato varcato, ha trovato istantaneamente riscontro nella presa di posizione del presidente Zelensky, secondo cui lo stanziamento di 90 miliardi di euro da parte dell’Europa rappresenta «una decisione senza precedenti che produrrà un impatto anche sui negoziati di pace. L’Ucraina si troverà in una posizione più forte».
I fondi «sono destinati al periodo 2026-2027 e contiamo di utilizzare tutti i 210 miliardi dei beni russi. Ci rendiamo conto che il prestito senza interessi sarà rimborsato dall’Ucraina soltanto a condizione che la Russia paghi le riparazioni all’Ucraina. Si tratta quindi di una vittoria importante, tangibile e significativa, e non solo dal punto di vista finanziario».
Sotto il profilo «geopolitico e politico, i leader europei hanno dimostrato la loro forza e hanno avuto l’integrità necessaria per prendere una decisione del genere» ha aggiunto Zelensky.
Alex Krainer

Analista finanziario, ricercatore, trader e gestore di hedge fund. È fondatore di Krainer Analytics e creatore di I-System Trend Following.
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