L’ultimo atto, almeno per ora, della guerra commerciale scatenata da Donald Trump è consistito nell’ulteriore innalzamento delle barriere tariffarie nei confronti della Cina al 245%, a cui è stata comunque accordata una esenzione per quanto concerne una serie di merci ad alto contenuto tecnologico. La decisione giunge al culmine di un durissimo botta e risposta tra Washington e Pechino che ha visto l’ex Celeste Impero reagire con estrema fermezza alle restrizioni statunitensi, e gli Stati Uniti sospendere in via provvisoria – verso tutti ad eccezione della Cina – i dazi che erano stati imposti in occasione del cosiddetto “Liberation Day” a seguito delle pesanti ripercussioni che questi ultimi avevano prodotto sul corso del dollaro, sui mercati azionari e sui rendimenti dei Buoni del Tesoro statunitensi. L’irremovibilità di Pechino è risultata molto stridente rispetto all’atteggiamento estremamente conciliatorio adottato dall’Unione Europea, a cui Trump aveva richiesto di acquistare ulteriori 350 miliardi di dollari di forniture energetiche per correggere lo squilibrio commerciale transatlantico. Sussiste infatti la concreta possibilità che il “vecchio continente” si pieghi al diktat imposto dagli Usa, che sembrano propensi ad abbassare le barriere tariffarie nei confronti dei partner disposti a recidere o quantomeno ridurre i rapporti di collaborazione con la Cina. Parliamo di tutto questo assieme ad Alessandro Visalli, architetto, studioso di questioni politiche ed economiche e collaboratore della rivista «La Fionda».
Alessandro Visalli

Architetto, saggista, studioso di questioni politiche ed economiche, animatore del sito «Nella fertilità cresce il tempo» e collaboratore della rivista «La Fionda». È autore dei volumi Dipendenza. Capitalismo e transizione multipolare (Meltemi, 2020) e Classe e partito. Ridare corpo al fantasma del collettivo (Meltemi, 2023).