Nei giorni scorsi, il ministro degli Esteri russo Lavrov ha affermato che, in precedenza, attività come quelle condotte dalle forze ucraine nell’ambito dell’Operazione Spiderweb erano sostenute «sia dagli Stati Uniti che dalla Gran Bretagna, ma ora abbiamo a che fare solo con gli inglesi […]. Forse anche i servizi statunitensi sono coinvolti per inerzia, ma i britannici sono presenti al 100%». Nell’ottica dei russi, Trump sembra insomma oscillare tra la linea del “disimpegno”, facente capo alla direttrice della National Intelligence Tulsi Gabbard, e quella della “crescente pressione” sul Cremlino, emblemizzata dal senatore repubblicano Lindsey Graham. Oltre ad aver concepito il disegno di legge volta a imporre dazi del 500% verso qualsiasi Paese che intrattenga relazioni commerciali con la Russia, quest’ultimo era presente a Kiev assieme al collega democratico Richard Blumenthal proprio nelle ore calde in cui scattava l’Operazione Spiderweb. La Gabbard, invece, ha dichiarato in un accorato filmato che «siamo più vicini che mai all’orlo dell’annientamento nucleare. I guerrafondai appartenenti all’élite politica stanno fomentando incautamente paura e tensioni tra le potenze nucleari, forse perché fiduciosi di poter proteggere se stessi e le loro famiglie in rifugi atomici a cui la gente comune non ha accesso. Sta a noi, al popolo, alzare la voce e richiedere la fine di questa follia. Dobbiamo rifiutare questa strada verso la guerra nucleare e impegnarci per un mondo in cui nessuno debba vivere nel timore di un olocausto nucleare». Le accorate esternazioni dell’ex militare statunitense riecheggiano chiaramente le prese di posizioni di un altro ex esponente delle forze armate, generale Michael T. Flynn. Costui si è dichiarato convinto che lo “Stato profondo” statunitense, composto da figure «animate da un odio profondo, viscerale e irrazionale per la Russia» e «insinuatesi nel processo decisionale del presidente Trump attraverso la montatura del Russiagate», stia «agendo al di fuori del controllo della leadership eletta della nostra nazione. Sono convinto che questi elementi siano impegnati in uno sforzo deliberato per provocare la Russia e trascinarla in un grande confronto con l’Occidente, Stati Uniti inclusi». Anche l’ambasciatore russo negli Stati Uniti Alexander Darchiev ha espresso valutazioni dello stesso tenore, affermando che «la strada da percorrere prima che le relazioni tra Russia e Stati Uniti si normalizzino completamente è ancora lunga, e il processo è difficile perché ostacolato non solo dagli oppositori della Casa Bianca – ovvero lo “Stato profondo” – ma anche da alcuni falchi al Congresso, dove si è formata una forte lobby anti-russa». A quest’ultima se ne affianca peraltro un’altra, forse ancora più influente, incaricata di allineare la politica estera statunitense agli interessi israeliani. Con risultati che anche in questi giorni sembrano non mancare affatto, come testimoniato dall’attacco israeliano all’Iran. Sullo sfondo, proseguono sia le epurazioni all’interno dell’amministrazione Trump, sia le schermaglie tra governatori democratici e governo federale riguardo ai disordini che stanno verificandosi in California.
Roberto Vivaldelli

Giornalista e saggista. È autore di numerosi volumi, tra cui Fake news. Manipolazione e propaganda mediatica, dalla guerra in Siria al Russiagate (La Vela, 2017), e Big tech. Sfida alla democrazia (Giubilei Regnani, 2023).
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