Lo scorso 15 marzo, Belgrado ha registrato una delle più grandi manifestazioni della storia della Serbia. Il Ministero dell’Interno ha parlato di oltre 100.000 persone, mentre per le Ong che hanno contribuito a organizzare la protesta i partecipanti erano quasi mezzo milione. Dal crollo della pensilina della stazione ferroviaria di Novi Sad verificatosi lo scorso novembre, responsabile della morte di una quindicina di cittadini serbi, le manifestazioni di piazza guidate da gruppi studenteschi ben organizzati sono andate crescendo e moltiplicandosi, culminando in alcuni casi in scontri con le forze dell’ordine. Nel tentativo di placare le proteste, le forze di governo destinatarie delle contestazioni hanno proceduto alla rimozione del sindaco di Novi Sad, del ministro dei Trasporti e del premier Miloš Vučević. Il vero obiettivo degli organizzatori delle manifestazioni è tuttavia rappresentato dalla caduta del presidente Aleksandar Vučić, tacciato di corruzione e autoritarismo, da conseguire anche attraverso il coinvolgimento dell’Unione Europea. A tale scopo, alcuni promotori delle proteste hanno organizzato un tour ciclistico che si conclude a Strasburgo, oggetto di forte attenzione mediatica. Sullo sfondo, i rappresentanti di Albania, Croazia e Kosovo hanno siglato a Tirana un accordo che sancisce il rafforzamento della cooperazione reciproca in materia di difesa. L’accordo matura sullo sfondo delle montanti tensioni in Bosnia Erzegovina, minacciata dalle spinte secessioniste che si irradiano dalla Repubblica Srpska. Il cui presidente Milorad Dodik è stato colpito, assieme al primo ministro Radovan Višković e al presidente dell’Assemblea Nazionale Nenad Stevandić da un mandato di arresto spiccato dalla procura statale di Sarajevo per “condotta anticostituzionale” dovuta alle tendenze separatiste. Il presidente serbo Aleksandar Vučić ha identificato l’accordo di cooperazione siglato tra Tirana, Zagabria e Pristina come una «flagrante violazione dell’accordo subregionale sul controllo degli armamenti del 1996», destinata a produrre effetti altamente destabilizzanti a livello regionale. Vučić ha quindi aggiunto che «per noi, si tratta di una situazione difficile, ma abbiamo compreso il messaggio, e difenderemo il nostro Paese da ogni potenziale aggressore».
Chiara Nalli

Analista di questioni geopolitiche specializzata in mondo balcanico e collaboratrice del centro studi «Geopolitica».

