Nei giorni scorsi, nell’imminenza del capodanno etiope, il premier Abiy Ahmed ha inaugurato la Grand Ethiopian Renaissance Dam (Gerd), la più grande diga idroelettrica di tutta l’Africa. Ultimata a coronamento di lavori protrattisi per ben 14 anni e costati circa 5 miliardi di dollari, l’infrastruttura è stata realizzata da un consorzio internazionale che riunisce società cinesi, italiane e francesi. We Build Group, azienda italiana coinvolta nel progetto, spiega che la diga «rappresenta uno dei cardini della strategia energetica nazionale etiope. L’opera, commissionata dalla Ethiopian Electric Power (Eep), è infatti un complesso sistema infrastrutturale che, sfruttando le acque del Nilo Azzurro, raggiunge una potenza installata di 5.150 MegaWatt, equivalente a tre centrali nucleari di media grandezza. L’impianto è progettato per raddoppiare la produzione nazionale di energia e generare un surplus destinato all’export verso i Paesi confinanti, tra cui Sudan, Kenya, Gibuti e Tanzania. Oltre alla rilevanza tecnica, Grand Ethiopian Renaissance Dam riveste anche un forte valore strategico e istituzionale: interamente finanziata da fondi interni e bond governativi, è un’infrastruttura di scala globale che consolida l’autonomia energetica e la capacità dell’Etiopia di posizionarsi come hub energetico regionale». Oltre a fornire elettricità a milioni di africani, la diga ridisegna i rapporti di forza nella regione. Egitto e Sudan accusano Addis Abeba di aver portato avanti unilateralmente un progetto che potrebbe portare a un calo significativo della portata del Nilo e che rischia di inchiodarli a un rapporti di dipendenza dall’Etiopia.
Claudio Celani

Giornalista specializzato in questioni economiche e geopolitiche in forza da decenni presso lo Schiller Institute e l’«Executive Intelligence Review».
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