Lo scorso luglio, il pubblico ministero Alessandro Gobbis ha aperto un’inchiesta per omicidio volontario plurimo aggravato dai motivi abietti e dalla crudeltà a carico di alcuni italiani. Secondo l’accusa, costoro si sarebbero riciclati in cecchini, aprendo ripetutamente il fuoco per divertimento sui civili bosniaci tra il 1993 e il 1995. L’indagine nasce da un esposto di 17 pagine presentato a gennaio alla procura di Milano dallo scrittore giornalista Ezio Gavazzeni, che partendo dal documentario del 2022 intitolato Sarajevo Safari e diretto da Miran Zupanic, ha iniziato a scavare.

Nell’arco del tempo, Gavazzeni ha raccolto numerose testimonianze importanti, comprese quelle di un ex ufficiale bosniaco e dell’ex sindaco di Sarajevo, Benjamina Karic, attestanti la presenza di cecchini stranieri. L’ipotesi formulata dall’accusa è che, durante la sanguinosa guerra jugoslava, numerosi italiani residenti in tutte le regioni settentrionali della penisola abbiano ripetutamente volato a Belgrado e da lì raggiunto Sarajevo in elicottero “scortati” da personale locale.
Il “tariffario” dei cecchini
Una volta giunti presso i checkpoint serbi, pagavano i paramilitari serbi che li gestivano per colpire uomini e donne, vecchi e bambini, indossando le vesti di cecchini. Dalle “voci di corridoio” circolate riguardo al “tariffario” emerge che ai bambini costavano di più, poi gli uomini (meglio se in divisa e armati), le donne e infine i vecchi che si potevano uccidere gratis».

«Ciò che ho appreso da una fonte in Bosnia-Erzegovina è che l’intelligence bosniaca a fine 1993 ha avvertito la locale sede del Sismi della presenza di almeno cinque italiani, che si trovavano sulle colline intorno alla città, accompagnati per sparare ai civili», si legge nell’esposto firmato da Gavazzeni. La fonte, indicata con nome e cognome nel documento, sarebbe un ex agente del servizio di intelligence bosniaco venuto a conoscenza del fenomeno attraverso i rapporti di interrogatorio di un volontario serbo che era stato catturato.
Nel documentario Sarajevo Safari, un testimone anonimo e «alcune fonti parlano di cecchini americani, canadesi e russi, ma anche di italiani, che erano disposti a pagare per giocare alla guerra». Si trattava, ha raccontato l’ex membro dell’intelligence bosniaca, di «persone molto ricche che potevano permettersi economicamente una sfida così adrenalinica».
Come riporta il quotidiano «Avvenire»: « è già partita la richiesta per acquisire un documento importante, che si era perso nelle pieghe del tempo: la testimonianza resa nel 2007 da un pompiere americano davanti al Tribunale dell’Aja per i crimini nell’ex Jugoslavia. L’uomo, John Jordan, partito volontario per prestare soccorso agli abitanti fi Sarajevo, raccontò di essersi trovato sotto il fuoco dei cecchini e di averne visti alcuni che erano stranieri. Jordan fu il primo a parlare esplicitamente di “turisti cecchini”. Ora la sua testimonianza potrebbe rivelarsi decisiva nell’indirizzare le indagini».
Il punto è che, per il modo in cui «tutto era organizzato, i servizi bosniaci ritenevano che dietro a tutto ci fosse il servizio di sicurezza statale serbo», il quale avrebbe gestito «le infrastrutture dell’ex compagnia aerea serba di charter e turismo». Un «ruolo chiave in questo servizio» lo avrebbe svolto Jovica Stanišić, ufficiale dei servizi di sicurezza serbi al soldo della Cia. Lo ha dichiarato l’ex ambasciatore britannico a Belgrado Ivor Roberts dinnanzi al tribunale dell’Aja che ha condannato Stanišić per crimini di guerra e contro l’umanità. Nel 2009, la stessa Cia ha presentato al tribunale un documento sigillato «attestante il suo ruolo di agente sotto copertura che ha contribuito a portare la pace nella regione».
Stefano Vernole

Analista geopolitico, saggista e vicepresidente del Centro Studi Eurasia Mediterraneo. È autore di numerosi volumi, tra cui Ex Jugoslavia. Gioco sporco nei Balcani (Anteo, 2013), La difesa della fede ortodossa in Montenegro. Il possibile cambiamento geopolitico nei Balcani (Anteo, 2020).
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