All’interno della National Security Strategy di recentissima pubblicazione, l’amministrazione Trump dichiara di volter riaffermare e applicare, «dopo anni di negligenza, la Dottrina Monroe per ripristinare la preminenza statunitense nell’emisfero occidentale e proteggere la patria e il nostro accesso ad aree geografiche chiave in tutta la regione. Negheremo ai concorrenti non emisferici la possibilità di posizionare forze o altre capacità offensive, o di possedere o controllare risorse strategicamente vitali, nel nostro emisfero. Questo “Corollario Trump” alla Dottrina Monroe rappresenta un ripristino efficace e ben congegnato del potere e delle priorità statunitensi, coerente con gli interessi di sicurezza nazionale».

La politica statunitense, recita la National Security Strategy, «dovrebbe concentrarsi sul reclutamento di leader regionali che possano contribuire a creare una stabilità tollerabile nella regione […]. Premieremo e incoraggeremo i governi, i partiti politici e i movimenti della regione ampiamente allineati con i nostri principi e la nostra strategia. Ma non dobbiamo trascurare i governi con prospettive diverse, con cui tuttavia condividiamo interessi e che desiderano collaborare con noi».
Va quindi attuato, conformemente al “Corollario Trump”, «un riadattamento della nostra presenza militare nel mondo» in funzione delle «minacce urgenti nel nostro emisfero». Occorre invece «allontanarsi da teatri la cui importanza relativa per la sicurezza nazionale americana è diminuita negli ultimi decenni o anni».
Nell’ottica degli artefici del documento, «il rafforzamento delle catene di approvvigionamento critiche in questo emisfero ridurrà le dipendenze e aumenterà la resilienza economica statunitense. I legami creati tra gli Stati Uniti e i partner andranno a vantaggio di entrambe le parti, rendendo al contempo più difficile per i concorrenti non emisferici aumentare la propria influenza nella regione. E pur assegnando la priorità alla diplomazia commerciale, lavoreremo per rafforzare le nostre partnership in materia di sicurezza, dalla vendita di armi alla condivisione di intelligence fino alle esercitazioni congiunte».
L’approfondimento delle partnership con i Paesi dell’America Latina previsto dal “Corollario Trump” deve procedere di pari passo con «l’espansione della nostra rete regionale. Vogliamo che le altre nazioni ci considerino il loro partner di prima scelta e (attraverso vari mezzi) scoraggeremo la loro collaborazione con altri. L’emisfero occidentale ospita molte risorse strategiche che gli Stati Uniti dovrebbero sviluppare in collaborazione con gli alleati regionali, per rendere i Paesi vicini, così come il nostro, più prosperi».
I concorrenti non emisferici «hanno compiuto importanti incursioni nel nostro emisfero, sia per svantaggiarci economicamente nel presente, sia in modi che potrebbero danneggiarci strategicamente in futuro. Permettere queste incursioni senza una seria reazione è un altro grave errore strategico americano degli ultimi decenni. Gli Stati Uniti devono avere un ruolo preminente nell’emisfero occidentale come condizione per la nostra sicurezza e prosperità. Una condizione che ci consenta di affermarci con sicurezza dove e quando necessario nella regione. I termini delle nostre alleanze e le condizioni in base alle quali forniamo qualsiasi tipo di supporto devono essere subordinati alla riduzione dell’influenza degli avversari non emisferici, dal controllo di installazioni militari, porti e infrastrutture chiave all’acquisizione di asset strategici in senso lato».
Alcune influenze straniere, riconosce il documento, «saranno difficili da invertire, dati gli allineamenti politici tra alcuni governi latinoamericani e alcuni attori stranieri. Tuttavia, molti governi non sono ideologicamente allineati con le potenze straniere, ma sono invece attratti dal fare affari con loro per altri motivi, tra cui bassi costi e minori ostacoli normativi».
Soprattutto, «la scelta che tutti i Paesi dovrebbero affrontare è se vogliono vivere in un mondo guidato dagli Stati Uniti, con Paesi sovrani ed economie libere, o in un mondo parallelo in cui sono influenzati da Paesi dall’altra parte del mondo».
Il “Corollario Trump” in azione
Il contenuto della National Security Strategy spiega perfettamente la politica statunitense nei confronti del Venezuela. Lo spazio aereo sul Paese sudamericano «sia considerato interamente chiuso». Lo ha affermato il presidente Trump all’interno di un post pubblicato sul suo profilo Truth alla fine di novembre in cui si legge che: «a tutte le compagnie aeree, i piloti, gli spacciatori di droga e i trafficanti di esseri umani: si prega di considerare lo spazio aereo sopra e intorno al Venezuela come chiuso nella sua interezza».
Anche la libertà d’azione del Venezuela sui mari è stata fortemente limitata dagli Stati Uniti, la cui Guardia Costiera, riportava «Reuters» lo scorso 22 dicembre, «sta inseguendo una petroliera in acque internazionali vicino al Venezuela in quella che sarebbe la seconda operazione di questo tipo questo fine settimana e la terza in meno di due settimane».
Secondo quanto dichiarato da un funzionario statunitense, «la Guardia Costiera sta attivamente inseguendo una nave della “flotta ombra” sanzionata, che fa parte dell’illegale elusione delle sanzioni da parte del Venezuela. Sta battendo falsa bandiera ed è sotto sequestro giudiziario». Il tutto mentre al largo delle acque territoriali venezuelane rimane schierata ormai da mesi un imponente gruppo navale statunitense composto dalla portaerei Uss Ford, cacciatorpedinieri, incrociatori e sottomarini a propulsione nucleare.
Si tratta del più massiccio dispiegamento di forze mai registrato dalla “crisi dei missili” di Cuba del 1962, clamorosamente sproporzionato rispetto all’obiettivo dichiarato di contrastare efficacemente il narcotraffico. Un’attività, quest’ultima, a cui il Venezuela risulta, peraltro, sostanzialmente estraneo.
Lo ha sottolineato l’ex direttore esecutivo dell’United Nations Office on Drug and Crime (Unoc, l’agenzia antidroga e anticrimine delle Nazioni Unite) Pino Arlacchi, secondo cui «il rapporto Onu 2025 […] menziona appena il Venezuela, affermando che una frazione marginale della produzione di droga colombiana passa attraverso il paese nel suo cammino verso Usa ed Europa. Il Venezuela, secondo l’Onu, ha consolidato la sua posizione storica di territorio libero dalla coltivazione di foglia di coca, marijuana e simili, nonché dalla presenza di cartelli criminali internazionali».
Il documento «non fa altro che confermare i 30 rapporti annuali precedenti, che non parlano del narcotraffico venezuelano perché questo non esiste. Solo il 5% della droga colombiana transita attraverso il Venezuela. Ben 2.370 tonnellate – dieci volte di più – vengono prodotte o commerciate dalla Colombia stessa, e 1.400 tonnellate passano dal Guatemala. Sì […], il Guatemala è un corridoio di droga sette volte più importante di quello che dovrebbe essere il temibile “narco-Stato” bolivariano».
Le analisi che emergono dal rapporto, evidenzia ancora Arlacchi, «raccontano una storia opposta a quella spacciata dall’amministrazione Trump, che smonta la montatura costruita attorno al Cartel de los Soles venezuelano, una supermafia madurista tanto leggendaria quanto il mostro di Loch Ness, ma adatta a giustificare sanzioni, embarghi e minacce d’intervento militare contro un paese che, guarda caso, siede su una delle più grandi riserve petrolifere del pianeta». Si parla di qualcosa come 303,2 miliardi di barili di riserve petrolifere accertate.
Gaetano Colonna

Storico, docente, saggista e animatore del sito «Clarissa». È autore di numerosi volumi, tra cui Medio Oriente senza pace. Da Suez al Golfo e oltre, strategie, conflitti, speranze (Edilibri, 2009), Ucraina tra Russia e Occidente. Un’identità contesa (Edilibri, 2022).
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