Il Caucaso meridionale è entrato in una fase di grande fibrillazione. In Armenia, il presidente Pashinyan si scaglia contro la Chiesa e le forze d’opposizione, portando parallelamente avanti un – non troppo – sorprendente riavvicinamento all’Azerbaijan del presidente Aliyev, che solo un paio di anni ha completato l’annessione de facto del Nagorno-Karabakh ripulendolo sostanzialmente dalla presenza armena. La stampa azera, dal canto suo, offre una narrazione delle schermaglie interne al potere armeno piuttosto favorevole a Pashinyan, forse per facilitare il raggiungimento di un accordo, caldeggiato anche dagli Stati Uniti, relativo alla realizzazione del cosiddetto “Corridoio Zangezur”, che connetterebbe la Turchia al Mar Caspio. Lo stesso Azerbaijan, alleato solidissimo di Turchia e Israele, sta registrando un netto peggioramento delle relazioni sia con la Russia che con l’Iran, con cui condivide l’ambizioso progetto denominato “Corridoio Nord-Sud”. Mosca sospetta un suo coinvolgimento nel sabotaggio dei bombardieri russi perpetrato lo scorso giugno sotto la supervisione dell’intelligence ucraina; Teheran, che Israele si sia servita del territorio azero per ferrare l’attacco contro l’Iran. Come interpretare la situazione?
Aldo Ferrari

Saggista e professore ordinario presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia, dove insegna Lingua e Letteratura Armena, Storia dell’Eurasia, Storia del Caucaso e dell’Asia Centrale. È autore di numerosi volumi, tra cui L’Armenia perduta. Viaggio nella memoria di un popolo (Salerno Editore, 2019), Storia della Crimea. Dall’antichità a oggi (Il Mulino, 2022), Russia. Storia di un impero eurasiatico (Mondadori, 2024).

