L’ultimo colpo di scena della guerra commerciale scatenata da Donald Trump è consistita nella sospensione provvisoria (90 giorni) dei dazi che erano stati imposti in occasione del cosiddetto “Liberation Day”, gravidi di pesanti ripercussioni sul corso del dollaro, sui mercati azionari e sui rendimenti dei Buoni del Tesoro statunitensi. Il nuovo provvedimento è stato applicato con effetto immediato nei confronti di tutti, ad eccezione della Cina. Verso quest’ultima, gli Stati Uniti hanno innalzato la barriera tariffaria al 125%, in seguito alla decisione di Pechino di imporre contro-dazi simmetrici e annunciare che «se gli Stati Uniti insisteranno, la Cina combatterà fino alla fine». L’irremovibilità di Pechino è risultata molto stridente rispetto all’atteggiamento estremamente conciliatorio adottato dall’Unione Europea, a cui Trump aveva richiesto di acquistare ulteriori 350 miliardi di dollari di forniture energetiche per correggere lo squilibrio commerciale transatlantico. Parliamo di tutto questo assieme a Gabriele Guzzi, economista, docente di storia economica all’Università di Cassino, saggista, poeta e collaboratore della rivista «La Fionda» con all’attivo esperienze lavorative presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri.
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