In un recente saggio scritto dai politologi Sergei Karaganov e Dmitrij Trenin assieme all’ammiraglio Sergei Avakyants, si legge testualmente che «il conflitto in Ucraina, l’operazione militare speciale della Russia, è una guerra, seppur finora indiretta, tra la Russia e l’Occidente collettivo guidato dagli Stati Uniti. Questa circostanza e il conflitto stesso ci spingono a gettare un nuovo sguardo alla deterrenza militare e al contenimento geopolitico dei nostri principali avversari. L’attuale teoria della deterrenza è stata formulata durante la Guerra Fredda sotto la guida intellettuale degli Stati Uniti e poi adattata alla situazione di dichiarata partnership con l’Occidente che non si è mai realizzata. La transizione dalla partnership fallita a un nuovo stallo, e poi a un confronto aperto, rende tuttavia impossibile un ritorno al formato originale della Guerra Fredda. Il motivo è un cambiamento radicale nel contesto geopolitico, geoeconomico, ideologico, sociale e tecnico-militare in cui la Russia sta implementando la sua strategia di sicurezza nazionale. La crisi ucraina ha evidenziato il principale problema di sicurezza della Russia: la deterrenza nucleare non protegge il Paese dall’aggressione geopolitica dell’avversario che può rappresentare una minaccia esistenziale per lo stato». Più avanti, i coautori precisano che «il termine russo sderzhivanie viene comunemente impiegato per designare il concetto di deterrenza, ma non è del tutto accurato quando si tratta di definire il ruolo delle forze nucleari. Sderzhivat significa “frenare”, ma noi non “freniamo” un possibile attacco nucleare o di altro tipo da parte di un potenziale avversario; piuttosto cerchiamo di risvegliare la paura nel potenziale aggressore, che sta pianificando un attacco, di conseguenze sicuramente inaccettabili o addirittura catastrofiche per se stesso. Quindi, in russo, invece di sderzhivanie nucleare, suggeriamo ustrashenie nucleare, ovvero – letteralmente – (ri)svegliare la paura nei cuori e nelle menti dell’avversario. È questo il termine per definire correttamente in russo il concetto di deterrenza. Non si tratta di un gioco di parole, ma della necessità di rafforzare il significato stesso di deterrenza se vogliamo davvero far rinsavire i nostri avversari e quindi scoraggiarli, e ne abbiamo un disperato bisogno, prima che sia troppo tardi […]. Date le capacità militari, economiche e demografiche combinate dei principali avversari della Russia, non dovremmo cercare, come fece l’Unione Sovietica, di raggiungere una parità militare complessiva. Inoltre, la parità come uguaglianza numerica nelle testate e nei loro vettori non era un indicatore affidabile dell’efficacia della deterrenza nucleare in passato. Proponiamo invece come criterio la capacità tecnico-militare, politica e psicologica di condurre una deterrenza nucleare attiva, ovvero la capacità e la determinazione di usare armi nucleari quando gli interessi fondamentali della Russia sono minacciati o compromessi. La deterrenza nucleare rappresenta la componente più importante, ma non l’unica, della deterrenza militare. Le forze di scopo generale garantiscono la sicurezza nazionale e sono costantemente pronte a respingere un attacco nemico. L’avversario, tuttavia, deve essere convinto che la Russia non si lascerà sconfiggere eliminando le armi nucleari ed è determinata a sconfiggere in modo decisivo chiunque invada o si prepari a invadere la sua sovranità, integrità territoriale o la vita dei suoi cittadini». Karaganov, Trenin e Avakyants si rifanno quindi alla tradizione russa consistente nell’infliggere sonore sconfitte agli invasori europei funzionali alla definizione di nuove architetture di sicurezza. È quel che fecero Alessandro I, Kutuzov e de Tolly nel 1812-1814, prima che si tenesse il Congresso di Vienna. Poi Stalin, Zhukov, Konev e Rokossovsky sconfissero le armate paneuropee guidate dalla Wehrmacht, gettando le basi per l’accordo di Potsdam. Ma per raggiungere un simile accordo oggi, sostiene Karaganov, il ricorso all’arma nucleare non va considerato un tabù. Occorre a suo avviso «portare avanti l’operazione militare speciale fino al raggiungimento della vittoria. I nostri nemici devono sapere che se non si ritirano, la leggendaria pazienza della Russia si esaurirà e la morte di ogni soldato russo sarà pagata con migliaia di vite dall’altra parte». Parliamo di tutto questo assieme a Roberto Buffagni, scrittore, studioso di questioni strategiche e geopolitiche e collaboratore del sito «Italia e il Mondo».
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