Lo scontro verbale verificatosi lo scorso venerdì 28 febbraio a Washington, all’interno dello Studio Ovale, ha suscitato grande clamore. Quella che si preannunciava come una conferenza stampa congiunta “di rito” si è invece rivelata un confronto di inaudita durezza davanti alle telecamere. Il burrascoso incontro ha prevedibilmente avuto degli strascichi di notevole portata. Anche i repubblicani più disallineati rispetto alla visione di Trump, come il senatore Lindsey Graham, si sono stretti attorno al presidente elogiandone l’atteggiamento fermo tenuto di fronte a Zelensky e sottolineato l’inadeguatezza di quest’ultimo. Gli europei, dal canto loro, hanno espresso solidarietà a Zelensky, pianificato un programma di riarmo da 800 miliardi di euro e promosso la formazione di una improbabile “coalizione di volenterosi” a guida britannica che dovrebbe – in linea teorica – coordinare il supporto a Kiev e incrementare la pressione economica sulla Russia, in modo da favorire il raggiungimento di una “pace giusta” e dissuadere qualsiasi nuova invasione dell’Ucraina. Senonché, subito dopo che l’amministrazione Trump ha interrotto l’assistenza in materia di riparazione degli impianti elettrici ucraini, sospeso il supporto militare all’esercito ucraino e perfino vietato agli alleati di condividere con Kiev le informazioni di intelligence generate dagli Stati Uniti, Zelensky ha abbandonato il tono di sfida nei confronti del suo omologo statunitense, pubblicando sul suo profilo Twitter/X un post in cui si legge che: «nessuno di noi vuole una guerra senza fine. L’Ucraina è pronta a sedersi al tavolo delle trattative il prima possibile per avvicinarsi a una pace duratura. Nessuno desidera la pace più degli ucraini. Il mio team e io siamo pronti a lavorare sotto la forte leadership del presidente Trump per ottenere una pace duratura […]. Il nostro incontro a Washington, alla Casa Bianca di venerdì, non è andato come avrebbe dovuto. È deplorevole che sia successo in questo modo. È tempo di sistemare le cose. Vorremmo che la cooperazione e la comunicazione future fossero costruttive. Per quanto riguarda l’accordo su minerali e sicurezza, l’Ucraina è pronta a firmarlo in qualsiasi momento e in qualsiasi formato conveniente». Ne parliamo assieme a Fabio Mini, saggista, collaboratore de «Il Fatto Quotidiano» ed ex Capo di Stato Maggiore del Comando Nato del Sud Europa e comandante della missione internazionale in Kosovo.
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