Sul campo di battaglia ucraino, le forze armate russe proseguono la loro avanzata. Lo ammette lo stesso segretario generale della Nato Mark Rutte, secondo cui il fronte «si muove verso ovest, sia pure lentamente, e non verso est: Kiev si prepara ad affrontare un inverno difficile e avrà bisogno di tutto l’aiuto possibile da parte dell’Occidente, per poter arrivare al tavolo negoziale in posizione di forza […]. Se prima avanzavano dieci metri al giorno, ora ci sono giornate in cui guadagnano terreno al ritmo di dieci chilometri al giorno». Sebbene compaiano sempre più di frequente sulla stampa anglo-statunitense rapporti basati su confidenze rese da militari ucraini secondo cui i russi stiano impiegando in maniera oculata e professionale il dispositivo militare, con piccoli gruppi che conducono assalti solo dopo che i bombardamenti aerei e di artiglieria hanno decimato le fila delle truppe ucraine, i rappresentanti istituzionali dell’Occidente continuano a sostenere che i russi starebbero subendo perdite letteralmente catastrofiche. Secondo l’Alleanza Atlantica, le forze armate russe «reclutano probabilmente 30.000 nuovi soldati ogni mese, assorbendo così le massicce perdite», stimate in 1.500 soldati al giorno. Una quota grosso modo doppia rispetto a quella attribuita agli ucraini, che secondo la Nato i russi starebbero cercando di «affossare usando la forza d’urto della massa», sebbene l’amministrazione Biden sia intensificando le pressioni su Kiev affinché proceda all’abbassamento dell’età minima per i reclutamenti nelle forze armate ucraine da 25 a 18 anni. E nonostante gli stessi rapporti dell’Alleanza sottolineino che la Russia «mantiene un significativo vantaggio quantitativo rispetto all’Ucraina in termini di munizioni, uomini ed equipaggiamento». I russi starebbero insomma riportando perdite enormemente superiori agli ucraini nonostante dispongano di una potenza di fuoco nettamente maggiore. Questa logica sembra animare le analisi di think-tank particolarmente influenti come l’Institute for Study of War della famiglia Kagan, secondo cui i russi avrebbero cambiato tattica operativa, distogliendo l’attenzione dai centri urbani in favore dei territori circostanti proprio in virtù delle enormi perdite subite e perfino dalla penuria di materiale bellico, e al fine di accrescere il proprio peso negoziale nell’imminenza dell’insediamento di Donald Trump. Allo stato attuale, insomma «i chilometri quadrati di territorio conquistato diventano più importanti delle singole città controllate». Il presidente Zelen’skyj ha riconosciuto recentemente che «i territori del Donbass e della Crimea sono oggi controllati dai russi. Non abbiamo la forza di riconquistarli. Possiamo contare soltanto sulla pressione diplomatica della comunità internazionale per costringere Putin al tavolo dei negoziati». Durante un’intervista rilasciata per il programma televisivo statunitense «60 Minutes», il ministro degli Esteri Russo Sergij Lavrov ha dichiarato che «tutti pensano che l’arrivo di Trump cambierà le cose. Noi non ci facciamo illusioni. A Washington esiste un consenso bipartisan abbastanza solido sul sostegno al regime di Kiev. I documenti dottrinali statunitensi descrivono il nostro Paese come un avversario che deve essere “sconfitto strategicamente”. Non abbiamo mai affermato che con l’amministrazione Trump alla Casa Bianca il processo negoziale sulla sicurezza globale e sull’Ucraina inizierà a prescindere da tutto. Non sarà, come molti sperano, un esito inevitabile. In linea di massima, non ci sono precondizioni nell’approccio negoziale russo. C’è piuttosto la richiesta di adempiere a ciò che è stato ripetutamente concordato nel corso di molti anni: la demilitarizzazione dell’Ucraina (che è una violazione diretta degli accordi in base ai quali la Nato non “ingurgiterà” un numero crescente di Paesi a est e si avvicinerà direttamente al confine della Federazione Russa), e il rispetto degli obblighi previsti dalla Carta delle Nazioni Unite, anche per quanto riguarda i diritti umani, tra cui i diritti linguistici e religiosi». Nel frattempo, un sondaggio realizzato da YouGov e ripreso dal «Guardian» attesta un crollo della disponibilità a sostenere l’Ucraina “fino alla vittoria” in tutte le opinioni pubbliche dell’Europa occidentale, mentre il 58° Rapporto Censis sulla società italiana rileva che il 66,3% della popolazione attribuisce all’Occidente (Stati Uniti in testa) la responsabilità maggiore dei conflitti in corso in Ucraina e in Medio Oriente. Ne parliamo assieme a Gianandrea Gaiani, giornalista, saggista e direttore della rivista «Analisi Difesa».
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