Lo scorso 26 ottobre, Israele ha sferrato l’attesa contro-rappresaglia a danno dell’Iran. Nello specifico, rivela il «Jerusalem Post», quasi cento aerei dell’Israeli Air Force avrebbero centrato sistemi radar in Siria al fine di “accecare” l’Iran, prima di raggiungere – al culmine di un volo di circa 2.000 km sopra Giordania e Iraq – il confine della Repubblica Islamica, e prendendo a quel punto di mira solo ed esclusivamente obiettivi militari. L’Iran ha riconosciuto di aver subito «danni limitati ad alcune località», diramato per tramite dell’emittente di stato «Isna» un filmato in cui si vedono le difese aeree in azione sui cieli di Teheran, specificato che nessun velivolo israeliano ha violato lo spazio aereo nazionale e annunciato un’ulteriore risposta, che «sarà più dura di prima». Secondo il quotidiano israeliano «Yediot Ahronoth», l’intelligence di Mosca avrebbe fornito a Teheran informazioni sensibili circa l’imminente attacco israeliano. Nei giorni successivi, mentre Donald Trump trionfava alle presidenziali statunitensi, Netanyahu rimuoveva il ministro della Difesa Yoav Gallant dall’incarico. Sul fronte ucraino, invece, l’avanzata russa prosegue inesorabile, portando l’ambasciatore russo presso le Nazioni Unite Vassilij Nebenzja a dichiarare che «non ci sarà alcun “congelamento” del conflitto ucraino. Non si ripeterà lo scenario degli accordi di Minsk; nessun congelamento del fronte in modo che il regime di Zelen’skyj possa leccarsi le ferite, così come non ci sarà alcun ingresso dell’Ucraina nella Nato. Gli obiettivi dell’operazione speciale, comprese la smilitarizzazione e la denazificazione dell’Ucraina, rimangono in vigore e non cambiano. Ma ciò che sta cambiando, e rapidamente, è la dimensione del territorio che rimane sotto il controllo del regime di Kiev. Consiglio a tutti coloro che hanno a cuore gli ucraini di non dimenticarsene e di pensare non alla cricca di Zelen’skyj, ma al popolo ucraino, i cui interessi a lungo termine risiedono nella pace e nel buon vicinato con la Russia. Finora, i nostri colleghi occidentali se la stanno cavando male». Sullo sfondo, il «Wall Street Journal» e il «Financial Times» rilevano con preoccupazione l’incapacità della base industriale statunitense di reggere i ritmi di consumo di missili intercettori da parte dell’Israeli Defense Force e delle forze armate ucraine. Parliamo di tutto questo assieme a Jacques Baud, saggista ed ex colonnello dell’intelligence svizzera specializzato in questioni russe ed europee, con impieghi presso la Nato e le Nazioni Unite.
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