Nei giorni scorsi, la presidente della Commissione Europea Ursula Von der Leyen ha annunciato ReArm Europe, un piano di riarmo su scala comunitaria da 800 miliardi di euro inteso a costruire, alla luce del radicale riposizionamento degli Stati Uniti sotto l’egida dell’amministrazione Trump, una solida deterrenza a fronte del supposto “imperialismo russo”. Il disegno, approvato dal Consiglio d’Europa, si basa sull’applicazione della clausola di salvaguardia prevista dall’articolo 122 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, in modo da esonerare le spese militari che ciascuno Stato è chiamato ad incrementare dal Patto di Stabilità, che rimarrà invece in vigore rispetto a tutte le altre voci di bilancio. La Commissione Europea, dal canto suo, ha aperto il varco al riorientamento in direzione della difesa dei fondi di bilancio originariamente destinati al finanziamento di altri programmi, e annunciato, per tramite della Von der Leyen, che «l’Europa ha tutto ciò che le serve per prendere il comando nella corsa alla competitività. Questo mese, la Commissione presenterà l’Unione del Risparmio e degli Investimenti. Trasformeremo i risparmi privati in investimenti necessari. E lavoreremo con i nostri partner istituzionali per farli decollare». Allo stesso tempo, la Commissione Europea si è impegnata a fornire la propria garanzia soltanto su 150 degli 800 miliardi che i singoli Paesi saranno chiamati a raccogliere. Per favorire il processo, la Banca Centrale Europea tagliato il tasso di interesse sui depositi al 2,5% in un’ottica di abbassamento del costo del debito, così da indurre il sistema bancario a canalizzare liquidità verso il settore della difesa, su cui stanno convergendo i capitali in uscita dai comparti farmaceutico e hi-tech (con particolare riferimento ai segmenti riconducibili alla “transizione ecologica) sotto la regia dei grandi fondi d’investimento statunitensi. Alcune aziende come Rheinmetall, fiutata l’aria che tira, stanno procedendo alla conversione dei propri stabilimenti preposti alla produzione civili in fabbriche di materiale bellico. Sebbene l’impatto su sanità, istruzione, ricerca, previdenza sia facilmente prevedibile, attorno a ReArm Europe si è sviluppato – con le dovute eccezioni – un consenso trasversale alle forze politiche, dietro il pungolo di personalità di vertice a livello istituzionale, giornalistico e universitario. In pochissimi hanno peraltro richiamato l’attenzione sul fatto che, sebbene l’Unione Europea abbia destinato complessivamente al settore della difesa 457 miliardi di dollari contro i 145,9 riconducibili alla Russia (dati del 2024), quest’ultima, come denunciato a gennaio dal segretario generale della Nato Mark Rutte, «sforna in tre mesi il volume di materiale bellico che l’Alleanza Atlantica, da Los Angeles ad Ankara, è in grado di produrre nell’arco di un anno». Segno che ReArm Europe va a innestarsi in un processo di corsa agli armamenti già avviato. Parliamo di tutto questo assieme ad Alessandro Volpi, saggista e docente di Storia contemporanea presso il Dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa.
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