Dopo mesi di trattative, passi indietro e fughe in avanti, l’accordo sulle terre rare ucraine confezionato dall’amministrazione Trump è stato firmato dalle autorità di Kiev. L’intesa prevede la creazione di un fondo comune preposto alla gestione delle risorse naturali ucraine e alla ricostruzione post-bellica del Paese, ma presenta seri problemi di realizzabilità. Il punto, sostiene l’Atlantic Council, è che le autorità ucraine avevano «poca scelta se non quella di accettare condizioni che la riducono allo status di una colonia virtuale». D’altro canto, però, l’intesa fornisce de facto quelle garanzie di sicurezza statunitensi – anche se “non convenzionali” – che il presidente Zelensky e i suoi collaboratori hanno sempre considerato imprescindibili. Nello specifico, ha dichiarato il segretario al Tesoro Scott Bessent, l’accordo prevede che «nessuno Stato o persona che abbia finanziato o rifornito la macchina da guerra russa potrà beneficiare della ricostruzione dell’Ucraina», e porrà l’amministrazione Trump nelle condizioni di «negoziare con la Russia da una posizione più forte», perché dimostrerà al Cremlino che «non ci sono discrepanze tra gli ucraini e gli americani». Il presidente Trump, dal canto suo, ha annunciato lo spostamento, previo ricondizionamento, di un sistema antimissilistico Patriot da Israele all’Ucraina, e dichiarato che, «forse, la pace in Ucraina è impossibile». Ora, si tratta di vedere come reagirà il Cremlino, che solo pochi giorni fa ha annunciato la completa riconquista, con il supporto delle forze nordcoreane, dei territori dell’oblast’ di Kursk interessati dalla penetrazione ucraina. Nel frattempo, Zelensky in persona ha dichiarato che l’Ucraina non può garantire la sicurezza dei rappresentanti istituzionali stranieri che visiteranno Mosca in occasione della parata del Giorno della Vittoria, avvertendo così che la responsabilità rispetto a qualsiasi incidente sul territorio russo dovesse verificarsi in quel lasso di tempo ricadrebbe esclusivamente sul Cremlino. Gli ha risposto Medvedev, secondo cui, nel caso in cui il 9 maggio dovesse verificarsi qualche episodio increscioso riconducibile al governo ucraino, la ritorsione russa si declinerebbe sotto forma di devastazione totale della città di Kiev.
Francesco Cosimato

Generale di brigata, paracadutista militare, direttore di lancio e ispettore per attività di controllo degli armamenti. Ha ricoperto numerosi incarichi di comando e staff, tra cui missioni in Somalia, Bosnia e Kosovo. Ha comandato unità come il I Gruppo del 33° Reggimento artiglieria terrestre Acqui e il 21° Reggimento Artiglieria Trieste. Ha operato presso lo Stato Maggiore dell’esercito e la Nato. Collabora con svariati giornali e riviste, tra cui «Krisis».

