Dopo mesi di trattative, passi indietro e fughe in avanti, l’accordo sulle terre rare ucraine confezionato dall’amministrazione Trump è stato firmato dalle autorità di Kiev. L’intesa prevede la creazione di un fondo comune preposto alla gestione delle risorse naturali ucraine e alla ricostruzione post-bellica del Paese, ma presenta seri problemi di realizzabilità. Anzitutto perché, stando alle valutazioni dei think-tank ucraini We Build Ukraine e National Institute of Strategic Studies, una quota assai significativa (40% circa) dei minerali critici contemplati dall’accordo si trova nei territori controllati dalle forze armate russe. Allo stesso tempo, riporta «Reuters», l’Ucraina non ha dispone di miniere attive allo stato attuale, ed è afflitta sia da «processi normativi inefficienti e complessi», sia da «difficoltà di accesso ai dati geologici», sia «problemi per quanto riguarda l’ottenimento dei terreni in cui si trovano i giacimenti». Segno che occorrerà non poco tempo affinché l’accordo entri nella fase operativa. Il punto, sostiene l’Atlantic Council, è che le autorità ucraine avevano «poca scelta se non quella di accettare condizioni che la riducono allo status di una colonia virtuale». D’altro canto, però, l’intesa fornisce de facto quelle garanzie di sicurezza statunitensi – anche se “non convenzionali” – che il presidente Zelensky e i suoi collaboratori hanno sempre considerato imprescindibili. Nello specifico, ha dichiarato il segretario al Tesoro Scott Bessent, l’accordo prevede che «nessuno Stato o persona che abbia finanziato o rifornito la macchina da guerra russa potrà beneficiare della ricostruzione dell’Ucraina», e porrà l’amministrazione Trump nelle condizioni di «negoziare con la Russia da una posizione più forte», perché dimostrerà al Cremlino che «non ci sono discrepanze tra gli ucraini e gli americani». Ora, si tratta di vedere come reagirà il Cremlino, che solo pochi giorni fa ha annunciato la completa riconquista, con il supporto delle forze nordcoreane, dei territori dell’oblast’ di Kursk interessati dalla penetrazione ucraina. Nel frattempo, Zelensky in persona ha dichiarato che l’Ucraina non può garantire la sicurezza dei rappresentanti istituzionali stranieri che visiteranno Mosca in occasione della parata del Giorno della Vittoria, avvertendo così che la responsabilità rispetto a qualsiasi incidente sul territorio russo dovesse verificarsi in quel lasso di tempo ricadrebbe esclusivamente sul Cremlino. Gli ha risposto Medvedev, secondo cui, nel caso in cui il 9 maggio dovesse verificarsi qualche episodio increscioso riconducibile al governo ucraino, la ritorsione russa si declinerebbe sotto forma di devastazione totale della città di Kiev.
Fabio Mini

Saggista, collaboratore de «Il Fatto Quotidiano», ex Capo di Stato Maggiore del Comando Nato del Sud Europa e comandante della missione internazionale in Kosovo. È autore di numerosi volumi, tra cui Le regole della guerra. Un commento alle massime di Quinton alla luce del conflitto in Ucraina (Mimesis, 2022), L’Europa in guerra (PaperFirst, 2023), La Nato in guerra. Dal patto di difesa alla frenesia bellica (Dedalo, 2025).

