L’Operazione Midnight Hammer condotta dagli Stati Uniti nei giorni scorsi si presta a una molteplicità di letture. L’azione, anticipata con largo preavviso da Washington a Teheran, avrebbe secondo il direttore della Cia John Ratcliffe e la direttrice della National Intelligence Tulsi Gabbard «devastato i siti nucleari iraniani», sebbene un’analisi della Defense Intelligence Agency suggerisca un impatto di gran lunga più contenuto. È, in altri termini, alquanto improbabile che l’impatto reale degli attacchi statunitensi contro gli impianti iraniani trovi preciso riscontro nella narrazione confezionata ad arte da Washington. Cionondimeno, la “verità politica” di cui l’amministrazione Trump ha tratteggiato i contorni si è rivelata funzionale a interrompere il conflitto tra Israele e l’Iran. Durante il conflitto, ha dichiarato il ministro della Difesa Israel Katz, Israele ha cercato di assassinare Khamenei, ma non c’era «alcuna opportunità operativa per farlo». La situazione appare paradossale, con i governi di Teheran, Tel Aviv e Washington che dichiarano simultaneamente di aver prevalso sulle controparti nell’ambito di uno scontro che sembra tutt’altro che chiuso.
Francesco Ferrante

Collaboratore della rivista «Analisi Difesa» e ufficiale dell’esercito con alle spalle una lunga esperienza operativa e di pianificazione interforze. Lavora attualmente nel settore privato per una società specializzata in difesa e sicurezza, continuando ad insegnare pianificazione operativa e targeting. Ha partecipato a missioni operative in teatri complessi, tra cui Iraq, Afghanistan, Libia, Libano, Bosnia, Repubblica Centrafricana, Burkina Faso e Mozambico.
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