A quasi tre anni di distanza dall’avvio della Operazione Zavad, la Federazione Russa si ritrova in una posizione che pochi in Europa e negli Stati Uniti si immaginavano. Il Paese è a tutt’oggi bersagliato delle pesantissime sanzioni irrogate dal cosiddetto “Occidente collettivo” all’indomani dell’invasione dell’Ucraina, ma la sua influenza globale aumenta di giorno in giorno. Il tutto mentre la classe dirigente del Cremlino cavalca le dinamiche innescate dal conflitto ucraino per procedere con una profonda ristrutturazione degli assetti sociali, economici e politici dello Stato. L’obiettivo dichiarato è quello di emancipare il Paese dallo status di esportatore di materie prime attraverso la valorizzazione delle enormi potenzialità di sviluppo interno, ma sempre nell’osservanza delle raccomandazioni formulate durante il secolo passato dal filosofo Nikolaj Berdjaev, secondo cui «il conservatorismo non impedisce il movimento in avanti e verso l’alto, ma blocca il movimento all’indietro e verso il basso, verso il buio caotico, il ritorno allo stadio primitivo». L’Europa, nel frattempo, sprofonda nella marginalizzazione politica ed economica, aggravata da una crisi energetica senza precedenti, scaricandone gran parte delle colpe sulla Russia. Parliamo di tutto questo assieme ad Evgeny Utkin, giornalista russo specializzato in questioni economiche e geopolitiche che vive e lavora in Italia. È stato docente all’Università Statale di Mosca Lomonosov e manager per diverse società internazionali. Scrive per svariate testate sia russe che italiane.
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