Le elezioni federali tenutesi in Germania il 23 febbraio attestano una polarizzazione particolarmente marcata e preoccupante della società tedesca. I settori della società relativamente “tutelati” sotto il profilo del reddito e residenti nelle aree più ricche del Paese ambiscono alla preservazione dello status quo, emblemizzata dalla Cdu-Csu (primo partito, con il 28,5%). Le compagini maggiormente penalizzate dai due anni di recessione e dalla deindustrializzazione incipiente, viceversa, premono per un significativo cambio di rotta, di cui Afd (partito che ha suscitato preoccupazioni per alcune sue posizioni controverse, affermatosi come seconda forza politica con il 20,8%) si è elevata a principale promotrice. Trasversale e inappellabile si è rivelata la bocciatura dell’elettorato nei confronti delle forze di cui si componeva la cosiddetta “coalizione semaforo”, con i socialdemocratici precipitati ai livelli più bassi di sempre (16,4%, quasi 10 punti percentuali persi rispetto alle elezioni precedenti), i Grünen nettamente ridimensionati (11,9%; -2,8% rispetto alla tornata precedente) e i liberali crollati fragorosamente (4,3%; -6,9% rispetto alla tornata precedente). Un risultato parimenti fallimentare è stato conseguito dal neonato Bsw Sahra Wagenknecht, arrestatosi al 4,9% in conseguenza dell’assai controproducente decisione di sostenere l’Spd in Brandburgo e Turingia lo scorso novembre. A beneficiarne è stata la Linke: il partito da cui la Wagenknecht era uscita contestandone proprio l’allineamento alle formazioni “di sistema” è stato capace di raccogliere l’8,7% dei voti (+3,8% rispetto alla tornata precedente). Il Bundestag assume così una conformazione caratterizzata dall’esclusione del Bsw e del Fdp di Christian Lindner, fermatisi entrambi al di sotto della soglia di sbarramento. La Cdu ottiene 208 deputati, a fronte dei 150 di Afd, 120 della Spd, 88 dai verdi, 63 da Linke e 1 dal partito della minoranza danese Ssw. L’altissima affluenza alle urne (82,5%, risultato più alto dalla riunificazione del 1990) riflette l’entità della posta in gioco: il futuro della Germania, su cui aleggiano molte ombre e ben poche luci. Quel che appare certo, è che a insediarsi come prossimo cancelliere sarà Friedrich Merz, figura emblematica del passaggio storico che stiamo attraversando. Ne parliamo assieme ad Alessandro Volpi, saggista, collaboratore di «Altraeconomia» e «Valori» e docente di Storia contemporanea presso il Dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa.
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