Lo scorso 21 novembre, in risposta agli attacchi condotti contro il territorio russo con missili Atacms e Scalp/Storm Shadow, Mosca ha disposto l’intensificazione degli attacchi contro l’Ucraina e il lancio contro un impianto produttivo di Dnipro di un Orešnik, un missile balistico ipersonico a raggio intermedio e testata multipla di cui nessuno in Occidente conosceva l’esistenza. Sebbene vi fossero state installate cariche inerti, il vettore è progettato per trasportare soprattutto testate nucleari. Si tratta di un messaggio difficilmente equivocabile, che la classe dirigente moscovita ha comunque tenuto a sviscerare ulteriormente evidenziando che la Gran Bretagna è ormai parte attiva nel conflitto. «Stiamo testando in condizioni di combattimento – ha inoltre specificato il presidente Putin – il sistema missilistico Orešnik in risposta alle azioni aggressive dei Paesi della Nato contro la Russia. La questione dell’ulteriore dispiegamento di missili a medio e corto raggio sarà decisa da noi a seconda delle azioni degli Stati Uniti e dei loro satelliti […]. Ci consideriamo autorizzati a usare le nostre armi contro le strutture militari di quei Paesi che permettono di usare le loro armi contro le nostre strutture, e in caso di escalation reagiremo in maniera decisa e speculare». La mossa, anticipata dalla revisione della dottrina nucleare russa che abbassa considerevolmente la soglia d’impiego dell’arma atomica, ha suscitato visibile disorientamento all’interno del campo occidentale. Il quale puntava con ogni probabilità, come evidenziato da Dan Crenshaw, rappresentante repubblicano ed ex capitano di corvetta dei Navy Seal pluridecorato, ad assicurare ai Paesi Nato e all’Ucraina una valida “leva negoziale” proprio attraverso lo sdoganamento degli attacchi missilistici occidentali contro il territorio russo. Parallelamente, la formazione fondamentalista Hayat Tahrir al-Sham, che in passato era stato generosamente armato e finanziato dalla Turchia, ha lanciato un’improvvisa offensiva verso Aleppo violando la tregua in corso ormai dal 2020. L’azione è stata coadiuvata da reparti di turkmeni, uiguri e centroasiatici di varia estrazione. Nonché dai ceceni guidati da Rustam Azhiyev, nome di battaglia Abdulhakim Ash-Shishani, tornati in Siria dopo aver combattuto contro i russi in Ucraina e portatisi appresso notevoli quantità di materiale bellico. Parliamo di tutto questo assieme a Stefano Vernole, analista geopolitico, saggista e vicepresidente del Centro Studi Eurasia Mediterraneo.
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